Fermo ragazzo, che tutte le euforie smaniose che maneggi in questo tempo libero se le porta via la canna fumaria. Come le piroette di fumo sospinte ai piani alti dell'atmosfera dalla fiamma consistente che brucia un legno sodo, probabilmente di quercia, senza consumarlo. Quando sono in giro, lontano dalla mia compassata routine, mi prende così bene che appena metto piede in un qualsiasi treno ed ho tempo di riflettere e fare raffronti, subito  interviene la pacca sulla spalla della coscienza, quasi a rinfrancarmi per i bei trascorsi avuti ma soprattutto a ricordarmi che tutto durerà poco. Devo  dire che rivedo cose avvenute. Se prima della morte davvero si vedono tutti gli istanti della vita in pochissimo tempo, allora sono già morto più volte, condannato a qualcosa che è peggio di un coitus interruptus: vengo dentro di me, genero sentimento e questo mio figlio speranzoso è destinato ad infrangersi contro i muri bui ed incorstati di asma della contemporaneità. 

Cosicché, di un ponte feriale che ha congiunto me ad altre persone, mie ambizioni ai loro traguardi, mie speranze ad effetti concreti sulla mia vita, di concreto mi resta addosso quella sensazione di calore che va scemando. Un calore dovuto ai ricordi di esseri umani e arte che ho incontrato, vedo installazioni ed immagini andare in fiamme. Quelle fiamme stanno per finire. Soprattutto mi resta dentro quella sensazione gelida di gennaio. Che cazzo, Gennaio, quello che mi passa nelle orecchie proprio in prossimità di Firenze. Associo volentieri i momenti della mia vita alla musica. Oggi sarei capace di dire, e magari domani di smentire, che chi suona come un monito a metà tra il nefasto oggi e il ludibrioso ieri è Federico Fiumani, accompagnato dall'alone ormai leggendario dei Diaframma. Ho fatto mio il loro ultimo live proprio nell'ultimo scampolo di luce viva. Ci tenevo, dopo averlo visto in azione questo inverno, per capire se a Firenze fosse andata come da me. E così è stato. Una carriera in pochi spicci, un modo di fare i conti tra presente e passato che questo restituisce: ieri sereno, oggi nuvoloso. In mezzo, il fil di ferro spinato che non si può torcere, posto a mo' di cortina a tracciare i confini tra i vari organi dell'apparato digerente. C'è poco da fare in questa situazione, ascoltando Fiumani & Co ripercorrersi, c'è poco da ridere, puoi solo respirare piano e riflettere, altrimenti finisce che ti ferisci dentro. Si ascoltano poesie (si può dire che non sono semplici canzoni senza che nessuno si offenda?) che si materializzano come un forte braccio che decide per te: ti prende dalla spalla della camicia e ti butta avanti in rivolta, ti prende dalla schiena e ti tira indietro una volta che vorresti precipitarti in avanti, ti prende a schiaffi e addirittura ti ficca un dito in culo raccogliendo tanta merda o stimolando pensieri orgiastici. Magari poi scompare e tu sei lì, sul palco del tuo teatro vuoto, a luci spente, dove l'unico riflettore acceso punta te disteso in una morsa di dolore.

Una carriera trascorsa a far lavorare bene il diaframma per realizzare questo difficile scatto sul vivere può sembrare poco? Forse. Molto? Non lo so. So solo che chi racconta in maniera asciutta le cause che mi costringono / aiutano a tirare dritto con molta paura di non poterlo fare più nonostante tutto, merita la mia più profonda ammirazione e gli applausi composti ed ottocenteschi del mio personale spleen addobbato di parrucca vaporosa e vestiario napoleonico per l'occasione. Su un disco del genere, poco conta che sia il primo live ufficiale della band, registrato abbastanza bene e con poche sbavature da mettere in conto. Copia fedele di quanto ascoltato in altra data. Poco importa che magari è più pezzo per fan che per neofiti. Dentro c'è Fiumani che mena e si dimena ed allarga a tutti l'insostenibile leggerezza dell'essere a metà tra qui e ieri, senza prospettive di redenzione o di eventuale vita di riscatto.

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