Proprio quando iniziavo a chiedermi che fine avesse fatto, ecco che vengo a sapere che Diane Birch ha pubblicato un nuovo disco. Tre anni sono passati dal precedente “Speak a Little Louder” e nel frattempo molte cose sono cambiate: dal cambio di etichetta dovuto alle vendite non incoraggianti dei suoi primi due lavori (ora la nostra si autoproduce) fino a varie vicissitudini personali culminate con il trasferimento a Berlino, di acqua sotto ai ponti ne è passata parecchia e c’è poco da stupirsi che per dare alle stampe un nuovo lavoro ci sia voluto tutto questo tempo.

Tempo che però è stato molto ben speso, a giudicare dal risultato finale: dopo un album traballante come “Speak a Little Louder”, “Nous” è ciò che di meglio Diane poteva proporre per dimostrare di aver ritrovato la presenza granitica degli esordi. Se gli ingredienti principali della ricetta sono sempre gli stessi (soul, gospel, opera e canzone “classica”), la Birch dimostra infatti di aver (ri)acquisito una notevole padronanza dei suoi mezzi non solo scrivendo testi e musiche degne dei migliori episodi di “Bible Belt”, ma arrivando a curare in prima persona la produzione dell’intero lavoro, che, pur godendo di una cifra stilistica d’insieme unitaria e coerente, fa della varietà il suo punto di forza. Tra l’introduzione dai tratti operistico-gregoriani di “Hymn for Hypatia” e il soul di “How Long”, l’elettronica glaciale di “Kings of Queens”, l’incedere ipnotico di “Walk On Water” e le oscillazioni oniriche di “Stand Under My Love”, Diane riesce in un solo lavoro di appena 7 tracce a spaziare tra Joni Mitchell e gli Eurythmics, tra i canti gregoriani e il blues, senza scordarsi di rendere omaggio a Laura Nyro, da sempre principale musa della giovane cantautrice. Il tutto ovviamente cantato dalla solita voce calda e corposa, che qui sembra aver addirittura ampliato il suo già ampio spettro espressivo.

Peccato solo che per produrre un’opera di tale calibro Diane si sia dovuta allontanare dai riflettori: con un talento come quello che si ritrova è solo lì che dovrebbe stare, lì a ricordare a tutti cosa significa saper scrivere delle belle canzoni. Ma forse è meglio così, che se ne stia dov’è, libera da qualunque tipo di contratto che probabilmente non farebbe altro che tarparle le ali, proprio ora che sembra averle spiegate per spiccare definitivamente il volo. Per affermarlo con sicurezza bisognerà aspettare almeno il prossimo disco (sperando arrivi in tempi non troppo lunghi), ma se le premesse sono queste sarà difficile non vederla volare parecchio in alto.

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