Gary Floyd - travestito per hobby, omosessuale per sport e marxista per diletto - non dev'essere stato decisamente a suo agio nel ridente Stato del Texas che - no! - non è proprio un bel posto. Solo per quell'odiosissima pronuncia, quegli schifosissimi cappelli e quelle corna indecenti appese sui cofani di qualche sfortunata Lincoln uno sveglio e dotato di senno (se ne esiste uno) spera di non nascerci la prossima vita. E se aggiungiamo, per completare il quadro, qualche simpatico ometto con la smania di conquistare il mondo e il pensiero di avere seppellito sotto ai piedi il cadavere di qualche alieno verde limone giunto a bordo di una ciambella volante i conti sono ancora più semplici da fare.

Non stento a credere che negli anni più estremi del Rock, le realtà più estreme siano sbucate proprio da qui, dove il conservatorismo più bieco e stupido della galassia si riesce perfino a respirarlo, dal ridente Texas. Se i Dicks infatti erano la versione senza censura dei Dead Kennedys, gli MDC dei D.R.I. politicizzati e ancora più incazzati, i Big Boys dei Minutemen senza freno a mano guidati da quell'altro grassoccio invertito di Biscuit, completavano il tutto i Butthole Surfers e gli Scratch Acid, dei folli senza epigone. Bene. Pubblicato il singolo "Hate the Police" (uno dei 7 pollici più incendiari di sempre) e lo split coi giocolieri e già citati Big Boys col quale condivisero "Live at Raoul's Club" che documenta la perfomance in una delle bettole più famose di Austin, i Dicks (è abbastanza intuitivo risalire all'origine del nome) sfornano per la SST (un secondo di silenzio) il loro primo vero LP, "Kill From The Heart".

La formula è il solito - e gradito - assioma: chitarre velocissime e taglienti, sezione ritmica scomposta e rumorosa e voce berciante, che se la prende un po' con tutto e tutti. E' la solita falce col fido amico martello a far da padrone alla copertina, mentre son le solite arringhe di Floyd a far da padrone il disco. Sulle andature caracollanti à la Dead Kennedys di "Rich Daddy" il nostro omone (grasso almeno quanto il suo rantolo) se la prende con lo stupido materialismo americano, sulle micidiali accelerazioni di "No Nazi's Friend" col razzismo - quasi scientifico - della polizia e, con lo stessa - ingenua e commovente - mancanza di zelo e retorica, proclama la morte degli Stati Uniti d'America in "Marilyn Buck" (dedicata all'omonimo attivista). Altri, e ancora più taglienti, fendenti dialettici del leggendario frontman (attivo fino a oggi) li si trova in "Bourgeois Fascist Pig" e in "Kill From the Heart" nelle loro esplicite dichiarazioni di morte al borghese conservatore, attacchi che oggi possono sembrare ridicoli e innocui ma non nel Texas di allora, roccaforte della middle class benpensante, razzista (non due ossimori) e censuratrice. Ma i Dicks di Austin non sono solo violenza dialettica e sono qua a testimoniarlo "Anti Klan (Part 2)", bislacco blues scandito dalla bottleneck fracassona dell'ospite d'eccezione Tim Kerr (Big Boys), o la rumorosissima e confusonaria cover di "Purple Haze", da loro reinterpretata in un gioco di basso dissonante e chitarra chiassosissima. D'altro canto, non strabuzzatevi gli occhi davanti alla conclusiva "Dicks Can't Swim", jam con spiccata attitudine free-form dell'ammirevole durata di undici minuti (se la si dividesse per undici, qualche frammento lo si potrebbe pure piazzare sul "Double Nickels on the Dime" che in quei tempi era solo in fase di genesi, e potrei aver detto tutto), con un ritmo irresistibilmente zoppicante sul quale Floyd sarà stato ancor più contento di acclamare, declamare e proclamare.

Gary Floyd una volta si cosparse il pene di cioccolato e invitò il pubblico a leccare il suo dolcetto. John Joseph Lydon qualche anno prima aveva scandalizzato il pubblico texano quando mostrò una maglietta raffigurante due cowboys che si toccano i testicoli. I conti tornano sempre. 

Il Texas non è proprio un bel posto.

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