§1. Con piglio d’errante.

Con piglio d’errante, le mani ruvide ed il volto riarso rivolto dirimpetto allo sconfinare dell’orizzonte, gli occhi fissi allo sparire d’ogni confine tracciato, immagina territori sonori ed insediamenti umani. Un inaudito miscelarsi, con leggerezza di nube, di luoghi di genti di suoni.

Questa vòlta del cielo in cui noi ci troviamo smarriti,

ci appare a somiglianza di una lanterna magica.

Il sole è la candela, il mondo la lanterna,

e noi siam come le immagini che vi vanno intorno rotando.*

Per chi, come Donald Eugene Cherry (1936 - 1995), ha nelle vene un ghiribizzo antico e una polifonia —la madre era una pianista dilettante nativa Choctaw del Mississippi, il padre un trombettista afroamericano— viene spontaneo votarsi allo sfasamento sonoro ed alla perenne irrequietezza.

L’itinerario errabondo di Don Ciliegia è l’infatibabile ricerca di un equilibrio dinamico, dalla giovanile frenesia venatoria della forma del jazz del futuro alla quiete subito abbandonata ed ogni volta rimestata d’una musica-mondo. Il ritmo eterno era stato solo il primo approdo, dalla New Thing di Coleman (1958-1961) alla sempiterna disparità, di questo nuovo modo di pensare la musica insieme figlia e naturale dissoluzione. Per non parlare poi di mu, libero dialogo di fiati e percussioni col compagno di lunga data Ed Blackwell, non approdo soltanto ma porta dai battenti dorati d’un altro orizzonte insondabile. Finivano ormai gli anni Sessanta; e Donald Eugene, affabulatore di ritmi melliflui, avrebbe trovato —nuvola spinta da venti orientali con una cornetta tascabile sotto al braccio— nuovi universi sonori, di lì a poco.

§2. Concordia mundi.

Questo equilibrio dinamico (né amalgama indistinta né tantomeno mosaico) ha forma di arcana tessitura: una trama e un ordito sempre cangianti.

Primavera del millenovecentosettantuno: esattamente cinquant’anni orsono. Don Ciliegia mette insieme una nuova spontaneità organizzata, organica nel senso di vivente, che fricchettonianamente ribattezza Società di Musica Organica. Inciso in cinque diverse tappe, tra Stoccolma e Copenhagen, questo doppio LP è la testimonianza sonora d’un vagabondare cosmico, il quale si tinge di cacocromie uditive mai prima accostate attingendo senza requie a delle armonie e disarmonie d’un mondo esistito soltanto in sogno.

Inizia in medias res con un canto funebre interminabile che si fa a poco a poco catarsi delirante e cosmogonia. Così purificato, l’orecchio s’accosta ad un folgorante viaggio, che dall’ossessività travasa in un’aria tesa di festa, in una sublime frenesia, per spegnersi, infine, in un risveglio.

We can be in tune with time,

we can be enslaved to time

or we can be in total aspiration trying to catch time.

There must be a fourth way: to flow with time.

This is the organic way, the way of the organic society:

to flow with time.**

Questo ed altro, la Organic Music Society di Don Ciliegia: un tremolante inventare, di mondo in mondo, di suono in suono; una libertà erratica, anelante albe di molti colori; una sgargiante dissonanza, abbandonata alla sua caleidoscopia; uno stendardo emanato dalle dita e dall’ingegno di Moki, posto a mo’ d’allegoria: un tempo che mangia sé medesimo, immedesimandosi nell’eterno moto degli astri. Melodie e disparità con gli ormeggi perduti, fluenti col tempo. Disarmante follia e infantile ghiribizzo. Pace infervorata: far d’un pianoforte un tamburo, dell’Occidente Oriente, di sé uno specchio opalino, fatto e disfatto nel dormiveglia. D’un mondo nuovo prospettive e visioni, far delle proprie radici germoglio. D’un mondo antichissimo schegge tumide, rinverdite da nuovo ritmo.

I frutti maturi di questa Weltanschauung si daranno solo in seguito, con una ciotola di riso e un ritmo viscerale. Ma è ora che gli occhi si aprono sul mondo, vedendo ciò che prima non c'era.

Cos'è questo nuovo mondo se non un peregrinare? Un seguire le orme e i riverberi, il levigarsi della conchiglia ed il sempiterno crescere e morire, farsi putredine e da putredine germoglio. Seguire il vano ciclo eterno, che dall'albeggiare d'Oriente già vespreggia alle tue spalle.

Attingi, errante, ad un pozzo variopinto.

Placa un momento la sete di mondo e di cose fatte e disfatte all’alba d’un ora eterno.

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