Quando si esce di casa allegramente gonfi alle una di notte, e ci si aggira per le viuzze del quartiere di Gracia in stato convenientemente confusionale, trovarsi alla fine in una piazzetta gremita di gente dove sul palco si stanno esibendo quattro ultraquarantenni con calvizie incipiente, inguainati in tutine gialle e blu da supereroi sotto acido con tanto di mantelline svolazzanti, intenti a spremere suoni ignoti a questa zona della galassia fuori da strumenti quali - chitarra acustica con su montati freni di bicicletta - charango verniciato di blu fosforescente - tastiera giocattolo con i versi degli animali della fattoria - varie ed eventuali, si può facilmente credere che ciò a cui si assiste sia in realtà un parto della propria mente alterata.

E invece non è così, perché i Don Simòn i Telefunken ("i" significa "e" in catalano) esistono davvero, vivono tra di noi, e nella vita di tutti i giorni sono sapientemente camuffati da innocui vicini di casa che ti chiedono lo zucchero in prestito, da placidi signori di mezz'età intenti a scegliere le acciughe al mercato, in modo da poter continuare indisturbati la loro missione di mistici pifferai magici di un'allegra regressione dell'Umanità a una spensierata demenza.

E il veicolo di questo ritorno allo stato fetale della coscienza è una musica (musica?) che sembra un incrocio tra i The Boy Least Likely To e le melodie dei primi videogiochi della Atari: suonini (si: "suonini" è la parola) giuggiolanti, voci infantili, strofe e frasi ripetute all'infinito in un gigantesco loop, coretti e abbozzi di melodie qua e là, come se a quattro minorati con un certo talento musicale fossero stati messi in mano una collezione di xilofoni e trombette per poi essere rinchiusi in una cella imbottita.

La Festa Mayor de Gracia richiama ogni anno, per una settimana, un sacco di gente, e ogni sera in ogni piazza del quartiere si esibiscono gruppi rock e jazz locali di alto livello. E questo rende ancora più forte l'impatto del vedere un'intera piazza, un'audience esigente e smaliziata, completamente soggiogata da queste nenie micidiali. In realtà l'intero concerto (un'ora abbondante di musica) è stato costituito dalla stessa canzone, o meglio dagli stessi DUE accordi che di volta in volta prendevano forme diverse, supportati da strumentazioni diverse, farciti ora di stacchetti ora di parti a cappella, interrompendosi di tanto in tanto per dare il tempo agli alfieri della lobotomia di annunciare un nuovo titolo, che sistematicamente si rivelava costituito della medesima, eppur inafferrabile, pasta musicale. Ancora indeciso, nella mia ansia di catalogare ciò che avevo davanti, tra "genio" e "demenza", titoli come "Il primo che viene prepara la colazione" o "La realtà non è un bel posto dove stare, ma a quest'ora è l'unico aperto" mi hanno indirizzato verso la prima ipotesi.

E ricordatevi di non parcheggiare la vostra astronave-madre in doppia fila, altrimenti i catamarani vi ingiurieranno. L'appendiabiti sa troppe cose: va eliminato!

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