Ecco un altro capolavoro targato Dream Theater questo "Scenes From A Memory"!
La band era reduce dal parziale insuccesso di "Falling Into Infinity", disco ritenuto troppo commerciale e troppo deviante dallo stile che li aveva resi famosi. Disco diverso dai precedenti, ma più per colpa della casa discografica che per volere loro (a parte che io non ho mai odiato FII, non ne vedo il motivo e comunque come disco mi sembra molto buono). Ciò aveva messo la band in condizione di dover quasi obbligatoriamente tornare al loro sound abituale per riottenere il consenso del suo pubblico. La risposta avviene...
...con un capolavoro. E chi se lo aspettava che tornassero con un disco del genere? Pensare che qualcuno li dava già per finiti!
Seguito della canzone "Metropolis pt.1" contenuta in "Images And Words" della quale spesso se ne sentono dei reprise, questo strepitoso concept segna, come tanto volevano un ritorno alle origini; esso contiene tutti gli elementi che resero famosi i Dream Theater negli anni passati (quelle di "Images And Words" per intenderci); ma soprattutto è il capolavoro della tecnica! Una tecnica eccessiva, a dir poco, un disco suonato con estrema perfezione e con classe sopraffina. I&W rimane sempre il numero 1 ma su questo disco discutere è reato! Ricordiamo inoltre l'inserimento di Jordan Rudess alle tastiere, che dopo le note magiche regalate ai Liquid Tension Experiment, si prende il lusso di sostituire Derek Sherinian e regalare un'altra cascata di note fatate.
Introduce "Regression" dove sentiamo il nostro protagonista venir ipnotizzato per dare poi spazio ad un dolce momento acustico.
Il secondo capitolo comincia con "Overture 1928" una strumentale che riprendendo l'inizio di "Metropolis pt.1" regala i primi grandi momenti di tecnica sopraffina e le prime delizie di Jordan Rudess; e se il buon giorno si vede dal mattino chi sente questo brano può dire già dall'inizio: "Cavoli, sto ascoltando una cannonata!". Prosegue poi con "Strange Dejà Vu" brano sicuramente più immediato basato sul timbro ritmico della chitarra e con un Rudess poco presente alle tastiere, se non per creare atmosfera nel ritornello.
Il terzo capitolo comincia con "Through My Words", un minuto soltanto di piano e voce per confluire subito in "Fatal Tragedy" una delle grandi perle di questo disco: un brano dal ritmo fortemente in crescendo, che partendo dal piano e voce che continua "Through My Words" vede il ritmo crescere man mano che il brano prosegue fino a sfociare in una parte srtumentale caratterizzata da potenti chitarre e delisiosi solisti di Jordan Rudess e John Petrucci che si conclude con uno splendido unisono chitarra-tastiera chiuso dal piano e dalla voce dell'ipnoterapeuta. Superlativo davvero (o meglio eccezziunale veramente! come volete che dica?)
E scatenatevi lì nella vostra cameretta con la n° 6 "Beyond This Life" (che forma da sola il quarto capitolo), dal ritmo ossessivo e da chitarre davvero a mille, ma che regala anche dei momenti acustici. Da notare anche la parte strumentale con Petrucci più blueseggiante e un ispiratissimo Jordan Rudess, che regala una divertente musichetta commedieggante che mai un gruppo metal si permetterebbe di inserire in un proprio brano per scongiurare il rischio di essere spacciato per "eretico". Ma siamo in ambito prog-metal e questo è apprezzabile.
E quando parte "Through Her Eyes" chiamate di là la vostra ragazza e fatela venire in camera, un bel lento abbracciati ci sta; introduzione ben realizzata dalle tastiere di Rudess e dal canto celestiale di Theresa Thomason, poi lasciatevi accarezzare da una soffice melodia di piano e chitarra acustica.
Seconda parte, vi entriamo con molta soddisfazione per quanto abbiamo ascoltato finora, vi entriamo con "Home" brano forse troppo lineare e ripetitivo per essere un brano di 12 minuti, ma la melodia comunque ci piace. Bella soprattutto l'introduzione, molto sperimentale, orientaleggiante e desertica, che si ripresenta a metà brano; bello anche il finale, anch'esso molto arabeggiante, con un bell'unisono chitarra-tastiera.
Ed ecco quello che secondo me è il pezzo da 90 dell'album "The Dance Of Eternity", una strumentale che non risparmia un solo momento di tecnica. Chitarra e tastiera che suonano con velocità impressionanti su ritmi praticamente mai definiti; chissà che male alle mani alla fine della registrazione! Anche qui l'ascoltatore rimane spiazzato da una musichetta che starebbe bene da sottofondo ad un'esibizione dei Turbolenti. Capitolo che continua con "One Last Time" brano breve, melodico ed essenziale che costituisce una sorta di stacco dopo un brano così tremendo; si ripresenta un assolo già sentito in "Overture 1928" nonché il ritornello di "Strange Dejà Vu" cantato con parole diverse.
Ed è però il momento di una ballatone di classe, "The Spirit Carries On" (capitolo 8): piano caldo e accogliente, voce intima, ritmo jazzistico e melodia solare; si notino un grande assolo di Petrucci e un coro gospel nel finale!
E chiudiamo con "Finally Free" che segna il ritorno a casa del protagonista: brano dall'ottima sensibilità melodica, meno tecnico con chitarre non troppo esasperate; dopo il primo ritornello si riprende la melodia di "One Last Time" e un assolo di "Overture 1928"; finale forse un po' ripetitivo con un Petrucci più determinato e con Portnoy che gioca un po' con la batteria. Nella conclusione possiamo sentire il protagonista che scende dalla macchina, entra in casa, accende la tv, la spegne, prepara un drink mette un disco...
...ed ecco che viene sorpreso dall'ipnoterapeuta che gli punta una pistola costringendolo a sbattere contro il giradischi che emette quindi uno struscio.
È uno struscio fastidioso durante il quale si può pensare a quanta grande musica si è ascoltati in questi 77 minuti. E rimettiamo il disco nella sua custodia esclamando: "Peccato che sia finito quì!"
Scusate per le troppe parole, ma per descrivere un'opera così maestosa dieci righe non bastavano affatto.
Carico i commenti... con calma