Quando cominci a sentire le prime note di Regression e ti accorgi che ricordano molto da vicino l'andamento di Pigs on the Wing dei Pink Floyd ti sale qualche dubbio e ti chiedi : "ma che roba sto ascoltando?" Il problema però è dopo, quando vai avanti nel disco e i dubbi diventano certezze: si è veramente di fronte a un gruppo cosi tanto obsoleto e derivativo da apparire perlomeno irritante. E il punto è che ci sono cascati in tanti, di fronte alla celebrata super-tecnica dei quattro musicisti del gruppo, gente che arriva addiruttura a definirli fra le più grandi band della storia della musica.
Il problema dei Dream Theater è però che sotto gli svolazzi di tecnica, sotto la pomposità degli arrangiamenti, sotto gli ormai famosi cambi di tempo non c'è proprio niente; nonostante siano venuti fuori dalla famosa scuola di Boston non sanno letteralmente scrivere pezzi: le composizioni sono di una banalità che rasenta il ridicolo e gli arrangiamenti non sono, come dovrebbero, completivi della parte compositiva, sono anzi il centro e il culmine del brano, che di conseguenza è strutturato in maniera tale da non avere una sostanza, un contenuto, ma di essere pura forma, totale speculazione su quello che dovrebbe essere solo il contorno del pezzo stesso.
E neanche questo contorno riesce a essere particolarmente convincente: si è tanto discusso sulla grandezza dei musicisti, ma dov'è la personalità? John Petrucci nelle parti più vicine al progressive si avvicina pericolosamente tanto a Robert Fripp quanto a Gilmour, mentre nelle ballate è quasi indistinguibile da Brian May; Mike Portnoy è un po' John Bonham un pò Ginger Baker, con un inezione di Pete Gill dei Saxon, ma con una tendenza a strafare tipica del Glam, molto Roger Taylor tanto per capirsi; Kevin moore e John Myung non sono meno anonimi, Lasciamo perdere James Labrie, un cantante come ce n'è a milioni.
Cosi anche i brani più complessi non sono altro che una sequela di citazioni: Overture 1928 o Beyond this life rifanno il verso a King cCrimson e Rush, non dimentichi di Pink floyd o Queen, e Home, col suo riff orientaleggiante, è solo un patetico tentativo di sembrare più originali; ma nei Dream Theater non c'è mai vera attitudine propositiva, a innovare; tutto si ferma in superficie, anche le poche intuizioni interessanti non toccano mai il brano nella sua essenza; le ballate, relativamente più scarne dal punto di vista arrangiativo, sono l' esemplificazione della totale nullità inventiva della band: Through my words o Through her eyes sono una riproposizione appena più gonfia e irregolare delle ballads anni '80 di gruppi non proprio imprescindibili come Bon Jovi o altre orribili Glam Metal bands, mentre con The spirit carries on si tocca probabilmente il fondo di quanto offerto dal "teatro del sogno": a contornare una melodia scialba, ecco che sopraggiunge un coro di voci femminili che sembra rubato direttamente a Dark side of the moon, e poco più in la nel pezzo ecco l'assolo di Petrucci che in alcuni passaggi è PRATICAMENTE IDENTICO a quello di David Gilmour in Shine on you crazy diamond. Fate voi, ma per me i grandi musicisti sono un'altra storia.
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