Nel 1999 i Dream Theater tornano a deliziare le nostre orecchie con un concept album eccezionale tanto dal punto di vista melodico, quanto da quello strettamente tecnico. Gli strumenti suonano in perfetta sincronia adornando la storia della giovane Victoria, che rivive nella mente di Nicholas quando costui si confida con uno psicanalista (il quale poi si rivelerà omicida): un racconto trasformato in una vera e propria “opera rock”, perfino divisa in due atti. Stavolta i cinque musicisti hanno curato tutto.
Il risultato è un capolavoro assoluto: una specie di “compendio delle tecniche ritmiche, armoniche e melodiche esistenti sulla faccia della Terra”; i Dream Theater toccano ogni genere, dal progressive al metal, al jazz, al grunge, non disprezzando splendide “ballad” come “Through Her Eyes”, “One Last Time”, o la bellissima “The Spirit Carries On”, modellate soavemente dalla voce di James LaBrie. È incredibile come sia bello perdersi nelle acrobazie delle corde di John Petrucci, nelle evoluzioni al limite dell’umano del basso di John Myung, essere colpiti senza pietà dall’esplosiva doppia cassa di Portnoy, o ancora arrampicarsi per quelle scale che Jordan Rudess inventa ogni mezzo minuto sui tasti. Anche solo dopo un paio di ascolti ci si accorge di come questo non sia un album normale.
Ci si affeziona alla storia di Victoria. Si rimane stupiti davanti ad un pezzo, “The Dance of Eternity”, che è tutto strumentale per qualcosa come nove minuti, ma non annoia mai. Si rimane confusi di fronte ai continui controtempi che ogni membro della band coglie con disinvoltura. Si rimane di sasso quando il disco, e quindi la storia, volge al termine, troncata in modo brusco e inquietante. Non ci sono pezzi migliori di altri: sono tutti omogeneamente meravigliosi. Barocco, estremo, ridondante, coinvolgente. Irresistibile.
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