"When Dream And Day Unite" è il disco di debutto di quella che sarebbe diventata una tra le band più amate e più discusse di tutti i tempi: i Dream Theater. Comunque questa recensione si occuperà del disco in questione e non di quello che sarebbero diventati i 5 newyorkesi.

Nel lontano 1989 la formazione della band era questa:

Voce- Charlie Dominici

Basso- John Myung

Chitarra- John Petrucci

Tastiera- Kevin Moore

Percussioni- Mike Portnoy

Partiamo subito dal fatto che non si sta parlando di una band da scantinato, ma di veri e propri professionisti; non è quindi un vero e proprio debutto, dato che Petrucci, Myung e Moore si erano già fatti le ossa con i Centurion, e in seguito anche Portnoy con i Majesty.

L'inizio è folgorante: si capisce subito con chi si ha a che fare. "A Fortune In Lies" non sarà un capolavoro ma è sicuramente tra le canzoni più riuscite dell'album. Peccato per la voce di Dominici, che sembra più preoccupato dell'espressività che del buon gusto, finendo per ridurre il ritornello ad una lagna. Si notano subito un Myung e un Moore molto ispirati che ci accompagneranno in seguito. "Status Seeker" scivola via allegramente, "sanza infamia e sanza lode", con un Dominici accettabile. Quindi si arriva a "The Ytse Jam": una perla del disco. Inizio come a concludere una precedente canzone, poi un riff orientaleggiante (l'oriente sembra essere una vera ispirazione per Petrucci) sul quale gioca, o meglio maltratta al limite della sopportazione fisica dei propri strumenti, ogni componente del gruppo. L'assenza di Dominici per i 5:47 della jam è un toccasana. Si arriva quindi a "The Killing Hand": buona canzone, nel quale forse l'espressività di Dominici non è fuori luogo; niente a che vedere con un certo Kevin James LaBrie (!), che gli succederà nel 1991. Un Petrucci ispirato ci porta alla successiva "Light Fuse And Get Away": niente da dire sulla canzone. Un'inizio forse un po' debole, ma comunque più che apprezzabile. In "Afterlife" si ha la concezione di che strano ometto stia al basso: l'inizio è un turbinio, che però il solito Dominici, riesce a far passare in secondo piano. "The Ones Who Help To Set The Sun" inizia poeticamente lenta, per poi velocizzarsi in ciò che è definibile in due parole: Dream Theater. Il teatro del sogno ci trascina quindi a "Only A Matter Of Time": degna conclusione dell'album, con un Portnoy in vena di finezze, nei continui cambi di tempo in puro stile prog, e un Moore che ci anticipa grandi dischi, come in effetti lo saranno i due successivi.

Il voto tuttavia non è il massimo: soprattutto per un cantante che, a mio parere, non gestisce bene le sue potenzialità, per risultare noioso e ripetitivo. Inoltre la qualità di registrazione del cd non è affatto buona. Resta comunque un ottimo disco, che tutti gli appassionati dovrebbero avere.

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