Vi sono stereotipi talmente insulsi da rendersi necessari. Per capire e comprendere. Una volta, da fan dei Pet Shop Boys quale sono, precisai che non mi piace ‘It’s A Sin’. Un tipo poco furbo sopraggiunse con “Ah! Com’è possibile ? Sarebbe come se ad un fan degli U2 non piacesse ‘One’”.

Ma che cazzo vuol dire ? Dobbiamo farcene un complesso di colpa ? Ebbene, in ambito duraniano io ne ho due : non mi piace ‘Rio’, adoro ‘Big Thing’.

Bastian contrario che benedice la dipartita dei Taylor inutili, Andy e Roger, e benedice l’avvento di turnisti e produttori sintetico-dance-pop-soft/house.

‘Big Thing’ arrivò in Italia, perché solo in Italia ebbe eco e riscontri, sulla scia di ‘E’ qui la festa’ e ‘Pregherei’, tanto per rendere l’idea.

Peraltro, etichettare l’album (come fa chi ha poca voglia di andare a fondo) come ‘house’, non è esatto. Il lavoro ha sottofondi sintetici qua e là, ma non è un album dance. E’ al passo con i tempi, ma strizza inevitabilmente l’occhio al passato.

Non è che se ‘All She Wants Is’ ha una base acidula, ecco, allora tutto il lavoro debba essere stigmatizzato da un’etichetta.

‘Big thig’ è tanto altro ancora.

E’ l’ironia scialba ma pesante della title track, la sobrietà curata del singolo apripista (‘I Don’t Want Your Love’), la squisita dolcezza di ‘Too Late Marlene’, ‘Land’ e ‘The Edge Of America’, la struggente malinconia di ‘Palomino’, il dolore di ‘Do You Believe In Shame’.

Io se ascolto ‘Hungry Like The Wolf’ dico: boh. Bah. Che è ? Non mi coinvolge, non mi piace, non mi garba.

‘Big Thing’ invece riflette sovrappensiero. Perché se si va a fondo lo si coglie: come spesso accade, l’unico presente è Rhodes. Taylor, per sua stessa ammissione, è strafatto. Lebon ha in testa il Drum, inteso come il barcone con cui a lustri alterni fa il giro del mondo, rischiando di lasciarci le penne una volta sì e l’altra pure. Canta senza posa, canta perché deve. Il cuore fa capolino solo a tratti.

Concepire capolavori sovrappensiero. Come il colpo di un fuoriclasse.

Questo è per me ‘Big Thing’.

Comunque, per dimostrare alle radio che non ambivano più a teen-agers che si strappano i capelli, in via preventiva i tre mandarono alle radio “The LSD edit”, firmandosi ‘The Krush Brothers’, il che altro non è un edit di “The Edge Of America” e la strumentale “Lake Shore Driving” che chiude l’album.

Messaggio colto in parte. L’album fece flop, che però è oro colato se raffrontato al successivo ‘Liberty’.

Voce fuori dal coro, predicatore nel deserto: questo disco non piace, o piace a pochi.

Ed io non sono degno di legarvi i legacci dei sandali, o voi puristi di “Rio”, e dove volete andare senza Andy, e va che i Duran Duran sono per le ragazzine. Luoghi comuni, male insito nella mia generazione.

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