Chi di noi non ha scheletri nell’armadio? Musicalmente parlando penso molti e già vi vedo a nascondere questo o quel disco, che è vero ce l’ho ma "perché costava poco", oppure "non è mio, è di mia sorella" o ancora "me lo hanno regalato non l’ho mai ascoltato".
Riconosciamolo: è dura guardarsi allo specchio. Qui stiamo parlando di musica perciò di gusti, di umori e di voglie e anche di cose futili e discutibili da non prendere troppo sul serio. Sempre e comunque.

Chi, come me, è cresciuto negli anni ottanta ha dovuto sopportare e fare i conti con quel tormentone chiamato Duran Duran e se fino a "Rio" il fenomeno era ancora abbastanza circoscritto e in fondo (ok, molto in fondo) qualcosa di buono l’avevano fatto, dal successivo "Seven and The Ragged Tiger" il costume e la moda hanno inevitabilmente preso il sopravvento con relativo scadimento (ammesso e concesso che potesse scadere) dozzinale degli album a venire. A fronte, però, di tanta deprimenza musicale faceva, altresì, riscontro in maniera inversamente proporzionale uno sfacciato successo commerciale. Il ferro va battuto quando è caldo e allora tanto per succhiare fino all’ultima goccia approntano, nel bel mezzo dei luccicanti anni ottanta, anche due side-project, Arcadia e Power Station. Ce n’è abbastanza per farsi odiare da tutto il sesso maschile che, si sa, fin dalla sua nascita insegue principalmente (se non esclusivamente) due cose (e non negate): la femme e l'argent. E loro per almeno tre, quattro anni ci sguazzano che è una bellezza. Poi, come per tutti i fenomeni di costume, ma non solo, arriva il declino e va a finire che non ti chiamano più nemmeno alla sagra paesana.
Quando i tre superstiti, arrivano a incidere "Big Thing" nel 1988 sono praticamente alla fine della loro avventura di boy-band. A chi può interessare una band del genere ? Né alle ragazzine, né tantomeno alla critica.
Infatti il disco è un flop planetario.
Ora, lasciamo per un attimo da parte tutti i pregiudizi e facciamo finta che non siano i Duran Duran a suonare e cantare in questo disco. E’ dura lo so, a molti di voi viene l’orticaria solo a pronunciare il nome, ma proviamoci.
La regola che l’abito non fa il monaco, purtroppo, tante volte calza a pennello e anche stavolta non si sfugge.
Canzoni come "Palomino", "Do You Believe In Shame?", "Land" e "The Edge Of America" sono clamorosamente mature e clamorosamente pop (nel senso buono del termine) che se fosse un’altra band a suonarle il ritorno sarebbe stato ben diverso. La critica consuma la propria vendetta perché i Duran Duran sono sempre i Duran Duran e la devono pagare. Al rogo! Al rogo!
Niente sconvolgimenti, intendiamoci, però il disco gira che è una bellezza alla faccia di tutte le boy-band arrivate dopo.
Dopo questo flop, i Nostri praticamente spariranno dalle scene per una quindicina d’anni, teoricamente cercheranno in tutti i modi di essere presi sul serio coverizzando persino i Velvet Underground e pensando addirittura di cambiare nome ma non c’è niente da fare: sono e saranno sempre i Duran Duran.

Che facci, rimetto lo scheletro nell’armadio?

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