Dopo quattro anni da "All you need is now" ritornano in pista gli ex wild boys o almeno ci provano.

Gia questo preambolo non promette nulla di buono ed infatti, a dispetto di una campgna pubblicitaria degna del loro passato, ci troviamo di fronte ad un prodotto con poche luci e molte ombre.

Le luci purtroppo si limitano al lato prettamente formale di "Paper gods", dove l'autoironia del titolo e le immagini di copertina, che richiamano smaccatamente i loro fasti degli anni 80, son forse la cosa più azzeccata.

I detrattori di sempre giustamente diranno: "beh che c'è di strano? Son sempre stati una band d'immagine e poca sostanza".

Eppure.....e qui iniziano i lati dolenti, dove l'album precedente suonava fresco nel suo retro sound, Paper gods fa acqua da tutte le parti, perché quel che manca è proprio la musica, nel senso di canzoni e di una direzione ben precisa.

Non basta una mole di ospiti e produttori vari per rendere il disco appetibile.

Dove Mark Ronson cerca per l'ennesima volta di rendere il loro sound attuale, con risultati spesso imbarazzanti, poi troviamo Nile Rodgers che a sua volta da un tocco alla Notorious (di cui è stato il produttore), oltre alla presenza di Mr. Hudson e Josh Blair.

Il risultato di troppe mani è un pastone che vorrebbe essere eterogeneo sulla carta, ma che si rivela in realtà disomogeneo ed a tratti fastidioso, tra richiami agli anni 80, ammiccamenti alla Daft punk e brani stucchevolmente dance oriented.

Danceophobia ne è l'esempio peggiore, dove abbiamo l'onore di ascoltare Lindsay Lohan in una performance, consigliabile solamente per risolvere problemi di stitichezza.

E che dire della presenza di John Frusciante in tre brani? Sfido chiunque a riconoscere il suo tocco nei brani in questione, senza sapere di quali si tratti. Per quanto non sia mai stato un chitarrista virtuoso, si sente la mancanza di Andy Taylor alla sei corde, comunque importante nella definizione del sound della band di Birmingham negli anni 80.

Cosa salvare allora musicalmente di Paper gods? Ben poco purtroppo. I pochi brani che si lasciano ricordare, si contano sulle dita della mano di un monco. Spiccano "The universe alone" (forse il più ordinario come stile, ma realmente duraniano), "Butterfly girl" (qui la mano di Nile Rodgers si sente pesantemente, pur essendoci Frusciante alla sei corde) e la title track (dove pur tra modernismi vari, la base ritmica è ben riconoscibile).

In definitiva "Paper gods" è un brutto passo indietro dopo il gradevolissimo "All you need is now". Talmente brutto da far sembrare un album come "Red carpet massacre" un mezzo capolavoro.

Un "due" dovuto solo alla grafica dell'album ed alla sua autoironia nel titolo e nelle immagini, come già detto all'inizio, ma che non trova alcun riscontro nella musica.

I Wild boys ormai son invecchiati, ma a pretendere di esser ancora giovani ed attuali, rischiano solo di risultare dei vecchi rincoglioniti.

P.s. Si segnala la presenza di Janelle Monáe, Jonas Bjerre e Kiesza.....ma in definitiva...chi se ne frega?

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