Uno dei sottogeneri che apprezzo di più del Prog anni '70 è il cosidetto "Progressive Esotico", una diramazione che fonde il tipico sound di Genesis e Yes con sonorità etniche, soprattutto orientali. Tra i nomi più importanti, i primi che mi vengono in mente sono la Third Ear Band o i nostrani Aktuala, e, quello che preferisco, gli East of Eden, che possono essere definiti i precursori di questo genere.

Il gruppo è capitanato da Dave Arbus (violino, sassofono, flauto, cornamuse), e composto inoltre da Ron Cainess (sassofono, organo), Geoff Nicholson (chitarra, voce), Steve York al basso e Dave Dufont alla batteria e alle percussioni. A un anno di distanza dall'ottimo debutto di "Mercator Projected" uscito nel 1969, il quintetto pubblica "Snafu", più omogeneo, maturo e coraggioso del precedente. Anche il pubblico se ne accorgerà, facendo volare l'album fino alla 29° posizione delle classifiche di vendita, un risultato straordinario per un gruppo "di nicchia" come loro.

Una curiosità riguardante le canzoni (e che accomuna il gruppo ai Caravan) è il fatto che le song sono divise in parti aventi il proprio nome, ma la traccia "collettiva" non ne ha uno specificato. L'opener è abbastanza fuorviante: "Have to Whack It Up" è un hard-blues con violino di poco più di 2 minuti scialbo e abbastanza insignificante confrontato con i brani che seguiranno. Ben altra cosa infatti è la strumentale "Leaping beauties for Rudy/ Marcus junior" che parte presentando un duetto tra 2 sax e la batteria prima dell'arrivo del riff portante della chitarra seguita a ruota dagli altri strumenti. Già da questo brano si può capire cosa caratterizza questo gruppo: in sottofondo il violino di Arbus è in frenetica attività, mentre i fiati ricamano a turno assoli free jazz-arabeggianti. Segue "Xhorkham/ Ramadham/ In the snow for a blow" che si apre col nastro rovesciato del "Traditional" che chiude l'album; la seconda parte, omaggio a John Coltrane, è molto evocativa e sembra quasi di vedere come in un miraggio, grazie alle percussioni e al flauto, l'assolato deserto arabo; si sfocia quindi nella terza parte, in cui questa volta viene omaggiato un altro grande, Charles Mingus, e, tra gli assoli, i duetti e i vari cambi di tempo, c'è spazio anche per un breve assolo di batteria. Segue "Uno Transito Clapori", un brano composto soltanto da nastri rovesciati sovrapposti, che vorrebbe ricreare l'effetto di "api rinchiuse in un polmone d'acciaio". La prima volta che la sentirete vi sorprenderà, la seconda vi darà fastidio, dalla terza sarete obbligati a skipparre. In "Gum arabic/ Confucius" è il flauto a dominare la scena nei primi minuti per poi passare il testimone al sax e concludersi in un'anarchia musicale in cui ogni strumento si sovrappone all'altro. "Nymphenburger" è l'apoteosi di Arbus, che sovraincide il suo violino ben 6 volte contemporaneamente; il brano è un continuo alternarsi di malinconiche parti cantate e sezioni solistiche, in cui per la prima (e ultima) volta nell'album c'è anche un assolo di chitarra. Il brano fu pubblicato anche come singolo, ma non raggiunse la popolarità del loro singolo più famoso, "Jig-a-Jig", dell'anno successivo. Alla posizione 7 troviamo "Habibi baby/ Beast of Sweden/ Boehm constrictor" che lambisce quasi i territori dell'avanguardia musicale, grazie ad una parte centrale che è pura cacofonia, prima di rituffarsi nel solito disordine organizzato a cui il gruppo ci ha ormai abituato, e concludersi con la reprise del tema di "Nymphenburger" notevolmente variato. Chiude il sopracitato "Traditional", una canzone americana degli anni '30, solo piano e voce, un espediente usato spesso nei dischi prog per alleggerire l'atmosfera.

In definitiva elementi disparati e molta eccentricità perfettamente ammalgamate rendono questo album degno di entrare nell'Olimpo del Progressive.

 

VOTO = 8

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