Dilemma: come dare seguito a quello che viene unanimamente considerato come il punto più alto della tua discografia, soddisfando le attese di chi è li pronto ad aspettarti al varco.

1987. Gli Echo And The Bunnymen danno alla luce il loro quinto album di studio, album dal titolo semplicemente omonimo. Il problema è che questo disco deve venire dopo quello che è oggi giustamente considerato non solo come il capolavoro della band di Liverpool- come detto poc'anzi- ma anche come uno dei migliori album degli anni '80, ovvero lo storico "Ocean Rain". Bene, "Echo And The Bunnymen" a conti fatti risente proprio di questo stato: è infatti uno degli album più snobbati e sottovalutati del quartetto.

Ma andiamo con ordine: la band viveva forse il suo apice creativo ed era pure nel pieno del successo, ma soprattutto per quanto riguarda la madrepatria e l'Europa; non riusciva infatti ancora a imporsi definitivamente al grande pubblico americano; questa e altre ragioni la portano inevitabilmente ad un progressivo laceramento e logoraramento interno. Dopo la raccolta "Songs To Learn And Sing", si arriva finalmente a questo quinto capitolo discografico. Il batterista Pete De Freitas torna nella formazione dopo una breve dipartita e così il gruppo può sfornare quello che diverrà poi il suo canto del cigno, o almeno per quanto riguarda la formazione storica.

"Echo And The Bunnymen" però è invece un album totalmente degno del pesante nome che porta, o quasi. Fin dalla prima "The Game" presenta un sound leggero, fresco (che brutto termine) e soprattutto non privo di ispirazione. La classe non è acqua, e lo si sente anche in altri bellissimi episodi come "All In My Mind", il singolo "Lips Like Sugar" (uno dei loro brani più celebri) e, soprattutto, "Bedbugs And Ballyhoo", che vede la prestigiosa collaborazione del loro maestro Manzarek all'organo. I restanti brani si mantengono su buonissimi standard, non eccezionali, ma comunque assolutamente degni. Episodi minori non mancano, ma pezzi brutti non se ne sentono affatto.

La chiusura è però con un altra perla, forse la più preziosa in assoluto: "All My Life", brano che non sfigura a confronto dei loro migliori episodi di sempre. Questo disco omonimo forse non splende dell'accecante luce di colonne come "Crocodiles", "Heaven's Up Here" e "Ocean Rain" ( solo quest'ultimo comunque lo ritengo da 5 stelle piene); ma si rivela un godibilissimo disco di quella che è una delle più grandi band degli anni '80. Forse si tratta di un disco più leggero dei precedenti, ma- come dicevo in precedenza- la classe non è cosa così comune, così come il talento cristallino di un Ian McCulloch e la sua bellissima voce; così come il tocco del sempre ottimo a mai fuori posto Sergeant. E ovviamente anche la sezione ritmica Pattinson- De Freitas. Insomma: il marchio resta quello, intatto come sempre.

Dopo questo lavoro la band si sfascierà drammaticamente: il vocalist lascierà la baracca per intraprendere una carriera solista mai sbocciata e il batterista perderà tragicamente la vita in un incidente. Questo è quindi l'ultimo vero album di una band storica al suo completo. Senza nulla togliere agli ottimi sviluppi della reunion fine anni 90, con album più che dignitosi ancora oggi.

Ultima nota: per chi volesse il CD originale, sono presenti anche sfiziose bonus track come demo, inediti, cover, versioni primordiali e una estesa di "Bring On The Dancing Horses". Consiglio personale: da avere.

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