Per qualche settimana, presso la homepage di Debaser, è comparso un simbolo inneggiante a Marco Travaglio ed ai suoi scritti, ovvero ai fatti che, in questi scritti, sono riportati dal giornalista d'origine torinese.
Alcuni cortesi lettori mi hanno chiesto, privatamente e sotto preghiera d'anonimato, di riflettere sul "metodo-Travaglio" e di procedere ad una spigolatura dei suoi scritti, a partire da un testo esemplare come "L'odore dei soldi" (2001), sollecitandomi ad una riflessione sulle sue criticità e sulla correttezza della sua menzione a simbolo di tutti gli iscritti a Debaser.
Accolgo queste istanze per senso del dovere ed amor di verità, ringraziando i lettori per la richiesta e la Direzione per lo spazio offertomi, testimonianza vivente della libertà e del pluralismo di uno spazio come Debaser, aperto anche al pensiero minoritario e moderato, spesso oggetto di ghettizzazione nel periodo, non certo facile, che stiamo vivendo, in cui i "poteri forti" tendono a soffocare ogni voce difforme all'insegna del pensiero unico dominante.
Qualche cenno preliminare sul libro s'impone.
Travaglio descrive, con la precisione del cronista, le presunte origini del patrimonio personale di Silvio Berlusconi (all'epoca dell'uscita del libro, candidato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri), ricostruendo il percorso finanziario che ha portato alla creazione delle varie società possedute dal leader di centro destra attorno alla metà degli anni '70, mediante un fitto e complesso sistema di holding, spesso operanti all'estero.
Non si tratta, peraltro, di una mera descrizione delle fortune imprenditoriali dell'imprenditore milanese, all'epoca molto lontano dalla politica attiva e dal progetto liberale che ha preso corpo nei primi anni '90, quanto di una vera e propria indagine volta a svelare, al grande pubblico, come le ricchezze di Silvio Berlusconi possano avere origine dubbia, se non illecita, con il decisivo apporto di soci occulti, quali la criminalità organizzata del sud Italia, il favore di banche legate ad ambienti della massoneria deviata e altro. L'odore dei soldi sarebbe, dunque, un calco ironico del motto latino "pecunia [non] olet".
Le conseguenze tratte dall'autore, e suggerite all'elettorato, anche moderato, sono evidenti: quest'uomo, dice Travaglio, non s'è arricchito con l'onesto lavoro ed il sudore della fronte, ma con la speculazione ed il favore di cattive compagnie; conseguentemente, quest'uomo non è un soggetto affidabile e serio, a differenza di come si presenta e viene presentato, mentendo proprio sulle origini di un successo personale nato all'ombra di forze oscure; ne deriva che l'elettore non deve scegliere Berlusconi come proprio rappresentante, trattandosi di un soggetto - per dirla all'Economist - "inabile a governare l'Italia", unfit to lead Italy.
Tralascio ogni facile riflessione in ordine alle implicazioni, moraleggianti e politologiche, dell'analisi di Travaglio: penso infatti che testi del genere non spostino, in maniera significativa, i termini della questione politica.
E' ovvio, infatti, che chi non ama il leader di centro-destra ed il centro destra stesso non possa che accodarsi alle osservazioni e conclusioni di Travaglio, respingendo con forza l'idea che Silvio Berlusconi possa rappresentare l'Italia tutta nella sua azione di Governo. Si tratta di un "sostegno a prescindere", rafforzato da fatti che rassicurano una posizione aprioristica del cittadino/elettore.
Allo stesso modo, è altrettanto ovvio che chi apprezza Silvio Berlusconi o le politiche moderate anti-comuniste continui a farlo, ignorando i rilievi di Travaglio, o eccependo a Travaglio che analoghi rilievi possono essere mossi nei confronti delle sinistre, partendo dai finanziamenti del PCUS al PCI durante la guerra fredda, passando per lo scandalo Unipol e finendo, notizie di questi giorni, alle vicende dell'ex Sindaco felsineo Delbono. Si tratta, anche qui, di un "rigetto a prescindere".
Sfonderei del resto io stesso una porta aperta osservando che, nell'Italia contemporanea, porre una "questione morale" nei confronti dell'avversario, come fa Travaglio, espone ad un'accusa di farisaismo, non essendo affatto agevole indicare una parte politica che spicchi, sull'altra, per condotte specchiate; tantomeno una sinistra che della propria superiorità morale ha sempre fatto non casuale punto di forza, cadendo poi in vicende piccolo-borghesi, in cui manca pure la grandezza macbethiana di un Male degno di questo nome.
Il punto su cui vorrei soffermarmi riguarda, invece, proprio le fonti dell'inchiesta giornalistica di Travaglio, ovvero quei "fatti" che, nell'ottica dei sostenitori del giornalista piemontese, inchioderebbero Berlusconi alle proprie responsabilità, rendendolo "obiettivamente" unfit to lead Italy.
Mi perdoni l'utente medio del sito se vado un po' in profondità, usando un linguaggio non proprio "da bar", prediletto da certuni anche nei commenti, ma la rilevanza del problema impone di essere analitici e non sbrigativi.
Il punto focale di tutto il discorso ruota, a mio avviso, sulla prevalente fonte giudiziaria dei fatti su cui Travaglio poggia le proprie ricostruzioni, rinvenuti in sentenze, ordinanze, conclusioni dei pubblici ministeri e simili: fonte che, nell'ottica dell'autore, ed in quella del lettore malaccorto, sembrano munite di una patente di oggettività che non è ad essa propria, e che non risulta idonea a formulare, nei confronti dell'imputato o, peggio ancora, del condannato, alcun giudizio di ordine morale o politico.
Va osservato, al riguardo, come la "verità processuale" non sia un equipollente della "verità storica", né tantomeno, un equivalente della "verità politica", ammesso che le medesime davvero esistano, limitandosi a descrivere la provata (o probabile) esistenza di fatti di reato puniti dalla legislazione, dai quali non si può trarre alcuna indicazione sul più ampio contesto di vita in cui si muove il condannato, sia esso un comune cittadino, sia esso il Presidente del Consiglio.
La "verità processuale", in altri termini, è parziale, artificiosa e relativa, funzionale all'applicazione di una sanzione e non alla ricostruzione di un contesto vitale. La differenza è quella che corre fra il vissuto di ognuno, e la fotografia, quest'ultima come fissazione grafica di una porzione infinitesima della vita, che, col tempo, sbiadisce o altera i propri colori assumendo addirittura valenze espressive immaginifiche.
In altri termini: posso dire, in una sentenza, che Tizio ha rubato 10, 100, 1000 bottiglie di vino, ma da questo dato non posso certamente inferire che Tizio è sempre e comunque un ladro per vocazione, né che sia un assassino, o un soggetto votato al male, né tantomeno, che egli sia un "uomo nero" inabile a Governare un Paese.
Il giudizio contenuto nel processo, oltre ad essere il prodotto di determinate indagini, di contingenze storiche, di accidenti probatori, di una certa dose di casualità, e a tratti anche di errore, è insomma un giudizio dal quale non posso inferire conseguenze che vadano oltre i limiti della vicenda processuale in cui esso è stato formulato, ed in quelle eventualmente connesse sulla base di rapporti sostanziali fra le norme.
Applicato ai fatti di Berlusconi, come descritti da Travaglio, il tutto può risultare forse difficile a comprendersi, ma forse soltanto per il velo dell'antipatia che molti nutrono nei confronti del personaggio, più che della persona; si applichi lo stesso principio testè esposto al caso di Adriano Sofri, che presso l'utenza del sito gode certamente di maggior benvolere, ed il discorso potrà essere compreso ed addirittura accettato in tutte le sue implicazioni e sfaccettature, anche dall'elettore di sinistra.
Con questo, vado a concludere osservando come il "metodo" utilizzato da Travaglio per costruire le sue argomentazioni sia, potenzialmente, fallace, trascurando il dato essenziale, per i garantisti, per cui in un sistema democratico la sovranità appartiene al popolo, che designa i propri rappresentanti nelle libere elezioni, e non alle corti o alle loro sentenze: sentenze che, a scanso di equivoci, possono essere giuste e corrette (anche nei casi di Berlusconi e Sofri), ma non possono essere mai brandite come un'arma per formulare nei confronti dell'avversario politico un giudizio di ordine politico, o un giudizio intimo, personale, sull'individuo e sul modo in cui egli realizza se stesso sulla scena culturale o politica del Paese.
Non è da a partire da una sentenza che posso formulare, in conclusione, un giudizio positivo o negativo su figure come l'attuale Presidente del Consiglio o l'ex leader di Lotta Continua, dovendo valutarli alla luce di valutazioni più complesse, che non abbracciano solo le loro vite, ma il più ampio quadro storico in cui le loro vite si sono svolte.
In questo reputo il "metodo Travaglio" un po' discutibile, o, meglio, un po' troppo facile, ed anche ingenuo: quand'anche i fatti da cui muove Travaglio fossero veri, o verosimili, è nelle loro interconnessioni, nei loro interstizi, nei loro effetti diretti ed indiretti che dovrebbe essere concentrata l'indagine e la valutazione del cittadino e dell'elettore.
Non è la scomparsa dei fatti che dobbiamo, quindi temere; ma una loro interpretazione distorta, avulsa dal sistema in cui essi nascono, vivono, si trasformano.
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