Elizabeth King - Living In The Last Days (Bible & Tire Recording Co 2021)

Genere: Soul Gospel

Spesso le copertine discografiche esprimono il significato e l'atmosfera dell'album che racchiudono, e in novanta casi su cento una bella cover custodisce un album altrettanto valido. Come non ricordare quelle realizzate, negli anni ’70, dall’artista Roger Dean. La sua grafica dalle tonalità crepuscolari e colori sfumati, le sue scene popolate da animali preistorici e fantascientifici e i suoi paesaggi apocalittici, accompagnavano magicamente diversi dischi degli Yes, degli Uriah Heep, degli Osibisa, dei Paladin, dei Nucleus.

Il grande fotografo Marcus Keef in arte semplicemente Keef, era l’autore di copertine con colori sfumati e pallidi, con personaggi mesti e solitari, preferibilmente figure femminili. Lavorava, spesso, per l’etichetta Vertigo e i suoi artisti: Black Sabbath, Beggar’s Opera, Colosseum.

Il disegnatore inglese Paul Whitehead, era legato all'etichetta Charisma ed in particolare ai primi album dei Genesis e dei Van der Graaf Generator. La solitudine dell'uomo, misera pedina dell'universo e il gioco degli scacchi, erano i temi predominanti della sua grafica.

Ma forse il più grande è stato Abdul Mati Klarwein che curò, tra le altre, la bellissima copertina di “Abraxas” dei Santana, alcune di Buddy Miles, dei Last Poets e del grande Miles Davis. Mati, nelle sue opere, raffigurava la passione per antiche divinità e per la forza della natura, rappresentava il messaggio del popolo nero verso la liberazione ed il riscatto. La copertina di "Bitches brew" è stata, in questo senso, la sua opera più importante.

La cover del disco d’esordio della settantasettenne (avete letto bene) Elizabeth King è bella e molto evocativa. Un primo piano delle mani di una donna di colore (probabilmente le sue), mani rugose che raccontano storie di sofferenza, di duro lavoro, alleviato soltanto da preghiere e canti spiritual che ritroviamo mirabilmente espressi nei brani del disco.

Chi cerca nella musica, quasi esclusivamente, novità, avanguardia, suoni e linguaggi nuovi, diciamolo subito, può tranquillamente passare oltre. Questo disco è un atto d’amore, amore verso una musica antica, che riesce ancora a scuotere le nostre anime e le nostre coscienze.

Elizabeth King nasce nel 1944 a Charleston, nel Mississippi. Non ha avuto vita facile, da piccola ogni giorno doveva aiutare la famiglia a raccogliere il cotone nei campi prima di andare a scuola, si ammala gravemente e si dedica ai canti spiritual come forma di sopravvivenza. Crescendo, impara a interpretarli nel suo stile. Nel 1969 è vittima di un grave incidente d'auto che sembrava la relegasse su una sedia a rotelle, ma ancora una volta, la sua forza di volontà e la sua profonda fede l’aiutano a risollevarsi. "Ero già seria riguardo al mio canto, ma mi sono avvicinata durante una passeggiata con Dio ... sapendo che l'unico modo per uscirne era Dio. E ha cambiato tutta la mia vita".

Dopo averli sentiti in un concerto, si unisce ai Gospel Soul, gruppo vocale maschile di un certo successo, e rimane con loro 33 anni. Smette di registrare musica a metà degli anni settanta per dedicarsi alla vita familiare e cantare solo in chiesa, del resto ha avuto quindici figli, e oggi conta cinquantasette nipoti e trentatrè pronipoti.

Dopo una pausa di quasi 50 anni, si è lasciata convincere dal suo ex produttore il Reverendo Juan D. Shipp a tornare in studio per registrare, quello che di fatto è il suo debutto da solista. Vengono coinvolti musicisti di assoluto valore, gente che ha suonato con Albert King, Al Green, John Prine, Alex Chilton, tanto per capirci. Le 11 canzoni del disco creano un mix gioioso di gospel dalle sfumature blues e soul intenso. Organo, basso, chitarra e batteria gareggiano tra loro per creare una eccitante giostra di suoni su cui la voce di King volteggia con autentica emozione. L’età non ha diminuito il pathos e la potenza del suo canto. Passa dai registri bassi a quelli acuti con notevole facilità, la sua interpretazione è priva di istrionismo e artificiosità.

Sarà pure nostalgia, ma l’ascolto di questo disco mi ha fatto viaggiare, e commuovere, e se avete amato la musica soul degli anni ’60, ma anche la vitalità gioiosa di Funkadelic e Sly Stone, accomodatevi pure, vi faccio posto.

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