Tutto inizia con l’ascolto di “Jours de Greve”, album di Emmanuelle Parrenin e Detlef Weinrich datato 2021.

Classificato dagli scribi come “Esoteric electronic folk”, “Jours de Greve” è un possibile quarto mondo di hasselliana memoria, una di quelle opere dove antico e moderno si confondono fino a diventare una cosa sola.

Il luogo di approdo è di quelli che è sempre meglio non definire, ma, se volete qualche cooordinata, direi che trance, canto ancestrale e folk misterico potrebbero essere termini confacenti.

Sia come sia, passata la porticina stretta e con quell'altrove a due passi, il disco è a tratti davvero potente.

C'è un'aria molto anni settanta, l'idea di un sogno utopistico realizzato nell'unico luogo che all'utopia concede ancora qualcosa.

Così, alla fine, ci si sente un pochino in quella casa universale dove dovremmo abitare tutti e dalla quale tutti siamo stati sfrattati.

Bene, indagando un pochino, a colpirmi è soprattutto la figura di Emmanuelle Parrenin.

Che, se Weinrich è un giovane maghetto del suono, ovvero un tizio molto venti/qualcosa, Emmanuelle Parrenin è una piuttosto in là con gli anni. E vi dirò: averlo scoperto, mi ha fatto scappare un sorriso.

Per quelli che, come me, non son più di primo pelo trovare qualcuno che invecchia con stile è sempre un grandissimo conforto.

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Allora vado a caccia sul tubo e mi imbattto in un video del 2011 dove si vede una bella signora concentrata in una specie di canto sciamanico. Oltre a cantare suona la ghironda, uno strano strumento a corde fornito di manovella. La prima cosa che mi viene in mente, ascoltandone i suoni, è l'harmonium di Nico...

Nel secondo video, sempre dal vivo e sempre del 2011, Emmanuelle sfoggia un meraviglioso sorriso e canta un brano pop di quelli che immediatamente ti alzi a dieci centimetri da terra. Dura dieci minuti (???) e parte come una cosa buffa e dolce, poi a metà strada si carica di dissonanze e il finale quasi ricorda quello di “A day in the life” dei Beatles.

Abbastanza entusiasta vado allora di terzo video e il terzo video è “Maison Rose” full album.

L'anno di grazia è il 77.

Siccome “Maison Rose” è bellissimo. decido di informarmi meglio. A voi quello che ho scoperto.

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Emmanuelle nasce in una famiglia di musicisti. La madre suona l'arpa, il padre sta in un quartetto d'archi.

La musica arriva ovattata dalla sala prove e lei la riceve come si riceve un segreto. Ne scopre il rapporto con lo spazio e con il silenzio, la vibrazione sui sensi.

Emmanuelle è vivace, curiosa e un pochino ribelle. A quindici anni, durante una vacanza a Londra, segue per un mese gli Yardbirds in tour.

A sedici si fa cacciare da un collegio religioso perchè con la chitarra compone irriverenti canzoni sulle suore.

A venti, assistendo a un concerto folk, ha la folgorazione per la ghironda. Il fatto è che “sentivo il suono nelle mie viscere, mi arrivava dritto allo stomaco, mi faceva vibrare le ossa”.

Allora si mette alla ricerca e, alla fine, ne trova una. C'è un problema però, proviene da un vecchio solaio ed è talmente malmessa che, ogni volta che la suona, la segatura del legno le piove addosso per poi finire sul pavimento.

E' a questo punto che entra in scena uno strano personaggio, un ex macellaio (???) che ha da poco trasformato il suo negozio in una bottega di strumenti antichi (???). E quella bottega, che per Emmanuelle è una sorta di paese dei balocchi, cosa ti espone in vetrina se non una meravigliosa ghironda?

Allora un bel giorno trova il coraggio e entra. Dopo un brevissimo dialogo, l'ex macellaio la invita a sedersi e va a prenderle lo strumento. Come Emmanuelle comincia a suonare, chiude le tendine e va nel retrobottega a prendere una botticella di vino.

Alla fine, com'è/come non è, la nostra Emmanuelle esce con lo strumento dei suoi sogni, l'ex macellaio ha accettato il baratto: la ghironda tarlata in cambio di quella nuova.

Succede che poi conosce un gruppo di beatnick dediti al folk, insieme incidono dischi ruspanti e vanno a caccia di vecchie canzoni nella Francia più sperduta. Non solo, aprono anche un locale dove chiunque può suonare.

E' un periodo magico, ma ben presto finisce: Emmanuelle è uno spirito avventuroso e quel folk, per quanto mirabile, le sembra ormai una piccola chiesa. L'unica allora è allontanarsi dalla retta via e, trovando riparo in una vecchia casetta, provare a fare qualcosa di diverso.

Se poi, come nel nostro caso, quella casetta è addirittura rosa: apriti cielo...

Maison Rose...

C'è chi lo chiama sublime in minore...

Si tratta di una specie di energia buona e del suo rapporto con non sai bene cosa. Una sorta di aggancio cosmico, col solo problema che cosmico è un parolone.

Ecco il compito di certi dischi è far si che quel parolone diventi una parolina. Nient'altro che tre piccole sillabe e un sussurro.

E comunque la casa è incantata, si vede, è abbastanza chiaro. Si comincia con il risveglio e come vuoi che ci si risvegli in una casa così?

Si prosegue con ballate di fresca ingenuità e stumentali abbastanza misterici. Ma è nella seconda parte che il disco diventa trascendente. “Topaze” è quasi un trip hop ante litteram e tutto si carica di quegli accenti cosmici che dicevamo.

Non solo, le ballate, pur nell'aggraziata consegna del canto, vanno ora verso il lato dell'ombra e torna quell'effetto quasi Nico. Il suono è quello di una magia catturata, ovvero un massimo di connessione in un minimo di intenzione.

Ah, mettici anche che qui si canta francese. E il francese a me fa sempre un certo effetto.

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Emmanuelle prosegue con gli esperimenti e le capita addirittura di aprire per i Clash a Parigi. Non potrebbero esistere due cose più distanti, ma a lei i Clash stanno simpatici.

A accompagnarla sul palco c'è un ex componente dei Gong e, diciamo, non sono accolti proprio benissimo. Scoppiano dei tafferugli, ma i due, improvvisando e cambiando la scaletta, in qualche modo ne vengono fuori...

Nello stesso periodo si mette anche a danzare e porta in scena un balletto del quale ha scritto le musiche. Innaginate una cosa tipo Carolyn Carlson meet esoteric folk. Nessuna traccia su disco però.

Poi a un certo punto scompare senza lasciare traccia. E per il seguito di “Maison Rose” dovremo aspettare trentaquattro anni.

La musica però, anche in quegli anni di assenza, rimane importante. Forse persino più importante di prima.

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Nei primi novanta, a causa di un incidente, perde completamente l'udito. L'esperienza, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la riempie di serenità, quasi come se quel silenzio fosse semplicemente un'altra esperienza da vivere. Certo, può sembrare strano, ma lei si sente, parole sue, come al centro di un uovo di piume.

Poter ascoltare però è bellissimo e lei, per recuperare l'udito, oltre al silenzio utilizza la musica. Musica e silenzio, del resto, vanno abbastanza d'accordo e questa cosa lei la sa da sempre.

Si rifugia in campagna e canta...e suona...

Suona non solo la ghironda, ma anche arpa, dulcimer e spinetta. E se anche non può sentire con le orecchie sente con il corpo e con le ossa.

Ricordate quelle sue parole? “Il suono ti arriva dritto allo stomaco, ti fa vibrare le ossa”.

Ed è proprio grazie alla “vibrazione ossea”, dice lei, che, piano piano, recupera completamente l'udito. Forte di questa esperienza comincia allora ad occuparsi di musicoterapia.

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Bene. Non resta che aggiungere che, grazie al passaparola, “Maison Rose” diviene col tempo un oggetto di culto.

E allora, per nostra fortuna, Emmanuelle nel 2011 torna a incidere. Il disco del ritorno si chiama “Maison Cube” e la title track è quel brano pop di dieci minuti del quale vi ho parlato all’inizio.

Pubblicherà anche altro, non molto a dire il vero. Ma, fidatevi, solo cose belle...

Trallallà...

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