Il disco della definitiva infatuazione.

E’ noto ai più: l’amore quando ti assale è qualcosa di travolgente, inafferrabile che, in genere, non comandi Tu.

Ti ritrovi a fluttuare in questa schiuma quantistica all’interno di una indefinibile bolla spazio-temporale nella quale sei capace di comportarti in maniera priva del minimo raziocinio; agisci e basta come animato da un riflesso condizionato: s’accende la lampadina e tu azzanni, strappi, cercando di divorare il brandello più grosso che riesci a trattenere tra le bramose fauci.

Deve essere successo più o meno così in quel preciso anno lì - 1998 - ai cinque impavidi metallers di Stoccolma: folgorati, accecati sulla via per la nuova Damasco (New York: Unsane, Helmet) risorgono dalle proprie (en)tombe  nutrendosi et abbeverandosi di quella vivida materia tanto da farne il proprio unico e risoluto modus operandi: completamente abbandonato il rutilante armamentario death metallico che tanta fama aveva, a suo tempo, dispensato.  

Il disco non è perfetto: ci mancherebbe altro; anzi, per tanti, del tutto incomprensibile. Non potrebbe essere altrimenti: d’altronde rappresenta semplicemente la loro personale, sincera, coraggiosa ma vitale testimonianza d’amore.  

UH!

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