E' arrivato il momento di rendere di nuovo giustizia al nostro caro Enzone, dopo più di sei mesi senza che abbia scritto una rece su un suo album (escludendo la classifica/tributo). La domanda sorge spontanea:da dove ripartire? Ora esimi debasi voglio dirvi una cosa: chi conosce Jannacci sa che ogni suo album corrisponde a un periodo della vita di Enzo, dai momenti di smarrimento raccontati in Discogreve alla ritrovata voglia di musica in Quelli che, dalla rinascita in Come gli aereoplani alla rassegnazione artistica...ed è proprio da qui che ho deciso di ripartire, dal disco che forse ha segnato il cambio decisivo, che illustra ciò che Enzo prova in quel momento storico, ovvero la voglia di lasciar perdere la musica per dedicarsi alla medicina. Ma vediamo un attimo nel dettaglio cosa l'ha portato a ciò.

Siamo nel 1969. Enzo partecipa a Canzonissima con la famosa Vengo anch'io no tu no, riuscendo ad arrivare alle fasi finali contro Gianni Morandi: Enzo vorrebbe portare la sempre celeberrima Ho visto un re, ma la Rai glielo nega per l'eccessivo sbeffeggiamento della classe politica (come sempre la Rai chapa poco quando si parla di musica); Enzo, sconfortato dall'accaduto, ha ripiegato su un pezzo di ben altro spessore: Gli zingari. Purtroppo con quella canzone arriverà alle posizioni più basse della classifica, sia quella di Canzonissima che quella delle vendite. Ecco, questo fu l'evento che fondamentalmente portò Jannacci a lasciar perdere la musica e dedicarsi alla medicina. Ma purtroppo per lui aveva ancora un contratto discografico e doveva pubblicare ancora qualche disco per poterlo chiudere. Ed è da questa serie di eventi che nacque La mia gente, un album dove l'amarezza e la disillusione sono il nucleo su cui orbitano buona parte delle tracce. Ovviamente la più significativa del lotto è la già citata Gli zingari che nonostante Enzo ne abbia avuto un ricordo negativo (difatto, non l'ha mai cantata dal vivo) è stata inserita nell'album, quasi a simboleggiare il crash del sistema avvenuto quando venne censurato per Ho visto un re.

Continuando a parlare delle tracce più importanti è d'obbligo segnalare 70 persone, dove il senso della disillusione viene estremizzato attraverso una folla di persone che vagano come nomadi per i campi tentando anche il suicidio con del veleno; interessante poi come il testo venga recitato, come se Enzo volesse levarsi di dosso la maschera dell'artista e parlarci da uomo, come se quello che c'è scritto nel testo lo riguardi più come persona che come cantante (stesso discorso si può fare per Gli zingari, anche se pare decisamente meno personale). Nonostante questi due momenti rappresentino i due poli su cui gira l'intero lavoro rimangono un'altra manciata di brani importanti, dove però il tema è la città natale Milano: la prima ad apparire è la sfavillante Il Duomo di Milano, dove vengono percorse le vie della metropoli lombarda, rappresentata come una città di tristezza e disperazione; la seconda è la title track, La mia gente, però stavolta non si parla di Milano ma dei suoi abitanti che muoiono lentamente nel fumo delle ciminiere, mentre Enzo "alza il volume della radio" per ignorare il degrado che lo circonda.

Non mancano comunque delle hit a contornare la portata principale dell'album: quella certamente più famosa è Mexico e nuvole, il cui successo darà fastidio a Enzo perchè lui ormai si era allontanato dal mondo musicale e difatto la eseguirà raramente dal vivo, così come altre canzoni che hanno avuto appeal dal pubblico (Vengo anch'io, Ci vuole orecchio) e Il dritto, che dimostra quanto Jannacci sappia rendere divertente quella che è alla fine la morte di un reietto della società. Nel disco compaiono tanti brani scritti da altri autori, a cominciare dalla stessa Messico e nuvole, scritta da Paolo Conte e Vito Pallavicini (molti pensano che l'abbia scritta Giorgio Conte, il fratello di Paolo, ma delle fonti piuttosto attendibili testimoniano che è stato Paolo a scriverla), per poi approdare a Il metrò, brano comico scritto dal troppo bistrattato Bruno Lauzi. E come non si possono dimenticare i due brani scritti insieme a Cochi e Renato, entrambi assolutamente spassosi ma tra i due il più riuscito è sicuramente El Carrete, un flamenco squilibrato che racconta le vicende del Carrete che rimane incastrato nella portineria; da ascoltare assolutamente così come Il piantatore di pellame, che forse perde un po' di follia ma rimane comunque un brano decisamente surreale.

In questo album viene incastonato uno degli ultimi proiettili scagliati col titanico Dario Fo, anche se decisamente in modo molto sghembo: infatti E la marcia va risale alla metà degli anni 60, quando Jannacci portava nei teatri lo spettacolo 22 canzoni, scritto appunto con Dario; una marcetta senza troppe pretese, che parla della libertà del popolo. Tutto ciò per far notare come col tempo Jannacci si sia staccato da Fo (che dal 65 era onnipresente nelle canzoni di Jannacci, basti vedere Sei minuti all'alba e Ho visto un re), ritornando a scrivere con lui solamente per La poiana (tralasciando l'inutile duetto in Già la luna è in mezzo al mare).

A questo punto ci sono solo due canzoni rimaste in canna da dover analizzare: la prima è Maria me porten via, un brano in milanese che procede a passo lento con la storia di un uomo che viene arrestato per aver ucciso un prete all'osteria e chiede a sua moglie Maria di pregare per lui; anche se a questo giro Jannacci intristisce un po' troppo la questione, il pezzo rimane assolutamente coinvolgente e significativo per la poetica di Enzo (tanto che nell'ultimo album verrà ricantata da un Enzo malaticcio sull'arrangiamento scintillante del figlio Paolo). Spessore completamente diverso invece ha Pensare che..., canzoncina allegra che parla di solitudine, scritta in un modo abbastanza inedito per Jannacci e che terrà nel cassetto per tempi migliori: infatti, nell'album O vivere o ridere la musica verrà ripresa per l'ironica e tagliente Statu quo.

Questo album non sarà forse il più bello di Jannacci e neanche quello più personale, ma rimane comunque un album importante per ciò che verrà in futuro: dopo il mezzo pasticcio di Jannacci Enzo, tornerà nel 1974 con una canzone, Brutta gente (tra l'altro, la mia preferita dell'Enzone), che riprende molte delle tematiche trattate in questo album con una rabbia e una forza che Jannacci difficilmente riuscirà a dimostrare i futuro. In conclusione, La mia gente è un album che guarda al mondo con amarezza, che immerge le mani nel fango per trovare quel poco di buono che è rimasto, con la conclusione che alla fine di salvabile non c'è niente. Direi che è stato molto bello tornare a parlare di Jannacci, spero che durante agosto abbia molto più tempo da dedicare a questo omino che di vita ne sa a pacchi.

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