Album non ancora recensito mi ci butto a capofitto. Poi è Jannacci, non posso esimermi.

Tra due capolavori, "Quelli che" (1975, forse l'apice jannacciano) e "Foto Ricordo" (1979) vengono pubblicati un paio di album ingiustamente considerati minori: uno è questo, datato 1976, l'altro è "Secondo te... che gusto c'è?" (1977), effettivamente un po' meno ispirato. Questo, però, è tanta roba: venne pubblicato, come il precedente, con l'etichetta Ultima Spiaggia, una casa discografica fondata nel 1974 da Ricky Gianco (un gigante, di cui prima o poi bisognerà riconoscere la grandezza) e Nanni Ricordi. I due si accordarono con la RCA e pubblicarono album di, appunto, Jannacci, ma anche Lolli, Riondino, Manfredi e pure Ivan Cattaneo. Come tutte le belle cose durò poco, e nel 1979 chiuse i battenti.

"O vivere o ridere", registrato nel giugno del 1976, al netto di un paio di episodi minori, è un disco fantastico: Jannacci è in forma strepitosa, e butta lì, quasi a casaccio, delle perle di fattura sopraffina, tra cui la title-track. In quegli anni Jannacci è ovunque: radio, tv, cinema. Ed è uno dei più attivi in particolare in quest'ultimo campo, il cinema. Sue le colonne sonore di alcuni tra i film più celebri del decennio, il capolavoro "Romanzo popolare" di Monicelli (servirebbe un trattato per poterlo spiegare fino in fondo, specie a chi non è milanese, o quantomeno lombardo) e il notevole "Pasqualino Settebellezze" di Lina Wertmuller, trionfo al box-office e successo internazionale inaspettato (fu persino nominato agli Oscar: il film, non Jannacci). Se nel primo film tutto verteva su Vincenzina e la fabbrica, nel secondo c'è la famosa "Tira a campà", tra i vertici del Jannacci anni '70, così ironica, così divertente, così, di fondo, malinconica (e che farà passare alla storia Via Chiatamone, a Napoli).

Un disco in cui intervengono, come autori, Dario Fo e Beppe Viola, e che vede alla batteria Tullio De Piscopo, non puo' che essere un grande album. La title-track cita la celebre "Vivere", storico successone d'epoca fascista (1937) di Cesare Andrea Bixio (un mezzo genio, scrisse tra le altre "Tango delle capinere", "Parlami d'amore Mariù", "Mamma", "Violino tzigano") storpiandone il significato e mettendo alla berlina tutto quel genere musicale fatto di cuore-amore che, ancora negli anni '70, imperversava. "Perchè la vita è bella e la voglio vivere sempre più", così recitava l'originale, diventa nella versione jannacciana "perchè la vita è bella e la voglia vivere senza tu". Un uomo, finalmente felice, senza una donna (Zucchero perdonerà), solo, libero e quel grido meraviglioso "C'è il banjo! C'è il banjo!".

Come in "Foto Ricordo" verrà delineata la figura del solito povero cristo, "Mario", qui tocca a "La storia del mago", 6 minuti meravigliosi di una vita amara fatta di "5 palle, una lira", luci al neon, un freddo cane, e la ruota che gira, o meglio dovrebbe, ma non gira. "La storia del mago" divenne anche il titolo di un sontuoso, e costosetto, box di 8 CD, edito una decina d'anni fa, in cui si ripercorrevano le "vite" di Jannacci attraverso le sue canzoni in modo (quasi) monotematico (e sì, io ce l'ho). Di maghi la storia della musica milanese ne ricorda due: questo, e il Cerutti.

A me fa impazzire, letteralmente, il non-.sense di "Rido" ("rido cado nel sugo e rido, perdo un cognato e rido; rido son sempre in rosso e rido, faccio la fuga e rido"), con un ritmo formidabile a sostenere il tutto (più o meno lo stesso giochetto letterale che sarà poi della mitica "Silvano") a cui si contrappone la canzone successiva, a chiosa dell'album, "Quando il sipario", malinconia a palate e un pianofortte dolcissimo che lo stesso Jannacci accarezza con indiscussa complicità. E c'è posto anche per due pezzi uno più divertente dell'altro: "Per la moto non si dà" (scrive Dario Fo), e vi avviso, state attenti se la moto non ha la marca (chi conosce la canzone capirà) e "Senza i dané", che è una (semi)filastrocca in cui, in sostanza, si asserisce che senza i soldi non si va da nessuna parte (e non si compera nemmeno Bettega). In quest'ultima interviene Massimo Boldi, quando ancora era nel giro jannacciano, Cochi e Renato, e quel mondo, meraviglioso, lì: quasi le prove generali de "Zan zan le belle rane" (ma quanto era bella "Zan Zan le belle rane"?).

Un paio di episodi, si diceva, non sono all'altezza, tra cui la farneticante "Dagalterun fandango", ma sono dettagli, l'album è tra i più gioiosi, divertenti, ispirati e meglio suonati della sterminata discografia di Jannacci e, forse, a distanza di anni anche la critica più oltranzista potrebbe rivedere il proprio, inconcepibile, giudizio. E, buone notizie: quasi la totalità dei dischi jannacciani non è mai stata portata su CD, tranne qualche raccolta piuttosto irrispettosa, ma i 4 album usciti con l'etichetta Ultima Spiaggia sono tutti, e dico tutti, disponibili anche in CD. Meglio poco (molto poco, ahimé), che niente.

Elenco tracce e video

01   Vivere (05:06)

02   La storia del mago (06:42)

03   Per la moto non si dà (03:07)

04   Statu quo (03:10)

05   Dagalterun fandango (03:23)

06   Senza i danè (03:35)

07   Tira a campà (05:10)

08   Rido (02:33)

09   Quando il sipario... (03:58)

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