Oggi è un giorno importante: oggi uno dei cantautori più importanti del nostro paese compie gli anni. Enzo Jannacci credo non abbia bisogno di presentazione, ma qualcuno si ricorderà di lui solamente per VENGOANCH'IONOTUNO (Vengo anch'io? Si tu si? Ma perchè? Perchè MD! Mi cadono i testicoli ogni volta che la passano), quindi serve sicuramente un piccolo riassunto delle sue opere. Senza indugio, andiamo a spulciare la sua discografia, partendo dal suo album peggiore (o meno bello, fate voi) al suo migliore. Prendetelo come volete: manuale per Jannacci, classifica di gradimento, tributo di un idiota. Ecco questo è: un tributo di un idiota qualsiasi, quindi potete prenderla sul serio o per gioco, poco importa. Andiamo che s'è fatta una certa:
18. Parlare con i limoni (1987)
Uscito nel 1987, questo disco è il punto più basso di Jannacci, qualcosa di molto lontano dallo schifo ma anche dal capolavoro. Pezzi come Parlare con i limoni, Senza parole e Poveri cantautori sono il culmine di un album musicalmente plasticoso, alcuni testi però non sono da meno e riescono ad andare a braccetto agli arrangiamenti (ascoltare La fine della storia per credere). Jannacci è stata una delle penne più importanti in Italia e vedere le sue parole buttate al macero senza dargli troppo peso fa accapponare la pelle
17. Jannacci Enzo (1972)
Un piccolo pasticcio, con pezzi nuovi e pezzi vecchi riarrangiati. C'è poco di salvabile: in primis Ragazzo padre, pezzo struggente e ingiustamente dimenticato pure dall'autore stesso e scelto come singolo di traino, Una tristezza chiamata Maddalena, la rivisitazione di Faceva il palo e di El purtava i scarp del tennis. Il resto si perde tra pezzi messi lì per far numero (la giostra è una bozza fatta a canzone, dai) e rivisitazioni penose, tipo quella di Ti te se no
16. I soliti accordi (1994)
Enzo ri-ri-torna a Sanremo, in coppia con Paolo Rossi, con un pezzo esilarante e satirico come I soliti accordi, traccia tratta dall'album omonimo. E tutto funziona, ogni pezzo trova il suo collocamento, anche le rivisitazioni che stavolta non sono affatto da buttare. Contiene anche pezzi meno interessanti, come Parlare col liquido, e altri di ottima fattura. Vanno citati per obbligo tre pezzi: Io ero quello là, Occhi di soldato e soprattutto L'uomo di gesso, ritratto dell'uomo moderno che ha speso tutta la sua vita alla conoscenza e ha perso la sua identità.
15. La Milano di Enzo Jannacci (1964)
Il disco d'esordio di Enzo, un pezzo di storia massiccio, cantato interamente in milanese. Ascoltandolo ora, nel 2020, viene in mente una cosa soltanto: questo disco non ha retto il peso del tempo, suona abbastanza vecchio. Io non sono milanese, questo disco non lo sentirò mai come mio, però è gradevole e pezzi come El purtava il scarp del tennis (che lasciamo stare l'arrangiamento da marcetta della banda di paese) e Andava a Rogoredo mi fanno impazzire anche se non ci capisco un tufolo.
14. Sei minuti all'alba (1966)
Rispetto al predecessore ci sono molte differenze: il milanese è quasi totalmente scomparso, ma gli arrangiamenti sono sullo stesso piano. Come per il disco del 1964 anche questo non ha retto il peso del tempo e risulta piuttosto datato. C'è la guerra in Sei minuti all'alba e Soldato Nencini, la disillusione in Chissà se è vero, la comicità in Faceva il palo e Ho soffrito per te. Certo l'Enzo ha fatto di meglio, ma anche in questi primi passaggi c'è poco da buttare
13. Secondo te...che gusto c'è (1977)
Un album fatto in fretta e furia per sfruttare il successo dell'omonimo singolo, forse per questo meno significativo rispetto ad altre opere dell'Enzo. Tra divertissement come Jannacci arrenditi e S.O.Selfservice e rivisitazioni di pezzi incisi da Enzo e altri, spiccano la titletrack e La costruzione, favolosa cover italiana di un pezzo di Chico barque de Hollanda e che non ti può rimanere incastonata nel cervelletto come una zanzara rimane incastonata nell'ambra
12. La mia gente (1970)
Fare un disco quanto tu vuoi mollare la musica non è mai facile, Enzo allora era deluso/disilluso e voleva mollare il mondo della musica per dedicarsi alla medicina. Nonostante ciò riesce a creare un album molto ispirato, che oscilla tra pezzi vecchi e pezzi nuovi, canzoni divertenti (El Carrete è esilarante) e canzoni malinconiche, raggiungendo il picco in Il Duomo di Milano e 70 persone. Passato (ingiustamente) in sordina, se non fosse per Messico e nuvole che fu un successo devastante.
11. E allora concerto (1981)
Bistrattato da tutti e ritenuto dagli estimatori di Enzo un album minore, in realtà questo lavoro è molto più corposo e complesso di quello che ci giunge a un primo ascolto. Le invettive della titletrack e di Brutta gente, la filastrocca di Pesciolin, la mestosità di Cosa importa rendono il lavoro di una non trascurabile qualità. Considerando poi che dentro c'è uno dei miei pezzi preferiti di Enzo, ovvero Bandiera Fiorentina, va direttamente nel cuore di un (mezzo) fiorentino come me
10. L'uomo a metà (2003)
Enzo è come il vino: più invecchia più la sua musica è matura, profonda. L'album, grazie anche all'aiuto del figlio Paolo e di Mauro Pagani, è più acustico dei precedenti, calmo e riflessivo. Ma non è tutto, ci sono anche momenti di allegria e spensieratezza (Il pesciolone è l'esempio più lampante, un frullato di gioia). Non si può dimenticare poi l'immensa titletrack: una lacrimuccia vi avrà fatto scendere questa canzone, anche a voi con il cuore di granito
9.Discogreve (1983)
Discogreve dimostra come il dolore possa portare a degli ottimi risultati. È il lavoro più intimo di Jannacci, ma anche quello più duro e inaccessibile. L'elettronica la fa da padrona, il dolore di Enzo è urlato al mondo (come in L'amico); si prende anche il tempo per parlare del nostro caro paese, come in Pensione Italia, e ha pure voglia di creare una denuncia sghemba alla moda come Obbligatorio, che ritengo sia una delle migliori canzoni mai sfornate dall'Enzo. Lo sapevate? Due brani dell'album sono stati iscritti al Festivalbar, ovvero L'animale e O surdato innamorato (abbastanza stramba). Lo sapevate? Sapevatelo!
8. O vivere o ridere (1976)
Verità verità? Questo è l'album di Enzo che ho ascoltato di meno, però questo non vuol dire che non sia ottimo. La rivisitazione di Vivere fa veramente sbellicare e se sei malato quanto me fa anche riflettere, Statu Quo è follia e critica allo stesso tempo e Rido fa, appunto, ridere. Si alternano anche pezzi lenti (Tira a campà, Quando il sipario) e pezzi jannaccianamente surreali (Per la moto non si dà, Senza i Danè). Nonostante la maggior parte dei pezzi siano ripescaggi e divertissement (come è successo anche per Secondo te...che gusto c'è), è un album ipergodibile e lo si ascolta sempre con piacere.
7. L'importante (1985)
Seppur arrangiato in maniera modesta, L'importante è uno degli album più ispirati di Jannacci, che propone alcuni dei testi più belli di Enzo (Oriente spicca su tutte, roba da chiodi). Anche pezzi più comici tipo Son sciopaa o L'importante è esagerare sono degni della scrittura di uno Jannacci che ha evidentemente qualcosa da dire. La palma d'oro per il brano manifesto va data però al Volatore di aquiloni, brano tra il surreale e il nostalgico che forse può essere un riassunto del percorso di Enzo
6. Ci vuole orecchio (1980)
Nel 1980 Enzo riparte in quarta, con un album brillante e un singolo geniale e che ha avuto fortuna. Qua troviamo una ripresa interessante del Dritto, una cover di Paolo Conte (La sporca vita) e l'ironia tagliente che affiora in Silvano. Arrangiamenti invecchiati molto bene, reggono ottimamente i brani (solo La sporca vita collassa per un arrangiamento troppo "da banda"). Da citare Musical, brano che merita più di un ascolto e che non può non far pensare che piega sta prendendo la razza umana, ma soprattutto Quello che canta Onliù, altro brano manifesto che prende al cervello e al cuore per la sua spontaneità, quasi fosse un provino registrato senza pensarci troppo
5. Vengo anch'io no tu no (1968)
Si chiama come il famosissimo singolo, ma da esso prende ben poco. Divertenti prese per il culo (Ho visto un re che è leggenda), traduzioni da artisti stranieri (Pedro pedreiro e La disperazione della pietà, quest'ultima pesantuccia ma veramente bella), ma anche malinconiche ballate (La sera che partì mio padre, Non finirà mai, La mia morosa va alla fonte). Medaglia ad honorem al brano forse più riuscito della produzione Jannacciana: Giovanni telegrafista è qualcosa di unico, geniale e forse irripetibile, una storia tragicomica dai risvolti pazzeschi
4. Guarda la fotografia (1991)
Vabbè che Sanremo è la fiera dello sterco, ma vederci Jannacci a cantare di mafia vale il prezzo del biglietto televisivo. La canzone è la sensazionale La fotografia e il suo contenitore è (appunto) Guarda la fotografia. Vedendo le tematiche affrontate, si potrebbe vedere come un possibile concept album sul sud Italia, luogo bellissimo deturpato da tanti mali. La mafia (La fotografia, Sogno come mafia), il lavoro (Il gruista, Songo venuto), l'analfabetismo (L'alfabeto muore). Però vorrei soffermarmi su alcuni punti: Parliamone è LA canzone da dedicare a un figlio, commovente (non è roba che Enzo ha fatto molto spesso), La strana famiglia è talmente ironica da essere realistica (Grande Fratello?) e infine The photograph, versione inglese de La fotografia
3. Come gli aereoplani (2001)
Molti artisti che si sono formati negli anni 60/70 cominciano a perdere lo smalto verso il 2000 e producono album non sempre eccezionali. Enzo è una meravigliosa eccezione, che riesce a partorire un album dai risvolti amari. Già cominciare da una cover del grande Faber fa arrivare una botta al cuore, subito dopo arriva un'epica title track che fa capire quanto in quel periodo Enzo potesse essere incazzato e deciso come non si vedeva dai tempi di Discogreve. C'è anche il rifiuto del razzismo in Sono timido, uno sguardo sugli inizi del 2000 in Lettera da lontano e momenti di sport e svago in Varenne e Luna rossa. Per chiudere il fiocco una gemma sul finale, un'autoanalisi che porta il nome di I mulini dei ricordi, punto di congiunzione tra l'Enzo del Vengo anch'io e l'Enzo della fotografia
2. Quelli che... (1975)
L'ispirazione è come un dado: imprevedibile e bastarda, non si può comandare e non si può decidere quando si è ispirati. Dopo Jannacci Enzo, fatto con poca voglia di scrivere, tre anni dopo arriva Quelli che..., sospeso tra la genialità solita di Jannacci (Il bonzo, in realtà scritta da Fo, e L'arcobaleno) e la denuncia spietata espressa nella dura Il monumento e nella mitica title track. Ovviamente l'eccezione c'è e porta il nome di El me indiriss: una canzone che parla d'infanzia, di un mondo che prima c'era e che adesso non c'è più, un mondo dominato dai ragazzini. Particolarità di questo LP è la presenza dei parlati, cosa che tornerà raramente nei suoi dischi e che sono uno più ironico e "sornione" dell'altro.
1. Fotoricordo (1979)
E siamo giunti al finale, al primo posto di questa classifica/omaggio di/per un artista imponente. Il punto più alto spetta a Fotoricordo, targato 1979. Un album genuinamente pop e non sempre facile, a volte drammatico, a volte incazzato. L'iniziale Io e te (il cui titolo non deve far pensare a un mare di banalità) parte cauta per poi aumentare di potenza fino a diventare un cazzotto verso chi ha molte speranze verso il futuro. Natalia e Mario possono essere parte di me, di voi, di tutti noi: ci siamo sentiti a volte una bambina che deve essere operata al cuore, ci siamo sentiti un uomo che vuole finire la propria vita con una pallottola in testa, in questa esistenza precaria in cui è facile perdere l'equilibrio. Saltimbanchi di questo spettacolo, bisogna tenere il passo e andare avanti tra chi ci schernisce. Quest'album è vita, quest'album è morte: è gioventù, è solitudine, è lotta verso chi opprime i più insignificanti, è il finale che tutti vogliono e che nessuno avrà.
Jannacci questo è stato: un uomo dal cuore grande, che nella vita ha dato tutto e che oggi nessuno loderà mai abbastanza tutto quello che ha fatto. Ecco, tutto qui
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