Epo, al secolo Ciro Tuzzi. Anzi no. In realtà trattasi di una band, ma Tuzzi - autore, chitarrista e voce del gruppo - è sicuramente la figura chiave di questa. C'è da dire che senza il synth, le tastiere, di Mario Conte, per altro loro produttore, gli Epo perderebbero buona parte della loro essenza. Perché la loro peculiarità, pur non essendo una novità, è il fondere al rock, alla canzone d'autore e alle melodie pop, l'elettronica.

Napoletani, si formano nel 2000 e nel 2002 pubblicano l'esordiente LP in questione. L'album ottiene discreti risultati ricevendo consensi da critica e pubblico e riconoscimenti, come al premio "Fuori dal mucchio", dove si aggiudicano il terzo posto nella categoria "Migliore album d'esordio".
Nonostante le discrete premesse, non ci è dato di sapere perché, viene a mancare il supporto della loro casa discografica e il disco viene dato alle ristampe solo tre anni più tardi, presso un'altra etichetta e mutando il titolo semplicemente in "Epo".

"Il mattino ha l'oro in bocca" è un lavoro, discretamente prodotto e dagl'arrangiamenti raffinati, che merita un minimo di attenzione. I testi sono pregevoli e l'interpretazione di Tuzzi, teatrale e malinconica, conferisce al disco una triste pseudo-serenità di fondo. L'iniziale "Serie/parallelo" ne è un esempio lampante. Ma quello che salta subito all'occhio (all'orecchio) è un riuscito, quanto bizzarro e coraggioso, omaggio ad "Amico fragile" di De André, dove la freddezza dei suoni elettronici si sposa perfettamente con l'interpretazione vocale. Le cover sono due, ma il disco non merita solo per queste, anzi, trova i suoi punti di forza in brani come "Sete" e "Città amara", davvero notevoli.
A dare il titolo all'opera è uno strumentale, assistito da sitar (o forse soltanto un campionamento) orientaleggiante, che funge da apertura per il primo dei due brani in cui Tuzzi ossequia la sua lingua madre (forse un passo falso, il ritrovarseli uno dietro l'altro nella tracklist). Poi quella "Anna" nata dal sodalizio Mogol/battisti, "freddamente" riarrangiata per l'occasione, ma meno incisiva dell'altra cover, e alla quale spetta il compito di chiudere, forse un po' miseramente, un lavoro per diversi aspetti degno di nota.

6.5/10

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