Homelander è onnipotente, un dio in terra. Ma non può nulla di fronte a un ****** che non lo ama, a un pubblico che inizia a detestarlo e un consenso che va scemando per colpa di un video postato su internet. In quel filmato si vede il supereroe in missione, che con grande flemma taglia in due il terrorista del caso, ma al contempo ferisce mortalmente un civile. Quando se ne accorge, fa spallucce e riparte a razzo nel cielo, dopo essersi dato una grattatina.

Nelle sue prime movenze, The Boys colpisce in profondità e scardina con risolutezza l'immaginario supereroistico di questi anni, manda il treno fuori dai binari e ci disorienta. Non sappiamo più a cosa aggrapparci, narrativamente parlando. Ma presto si comprende che questi eroi sono ben altro, sono molto di più. Cristallizzano in sé tanti aspetti della società, della religione, della politica americana (e non solo). Sono quasi sacerdoti della supremazia occidentale, custodi del concetto di giustizia, di tolleranza, di verità. Sono la punta di diamante di un'offensiva mediatica corale volta a distruggere il libero arbitrio, incanalano l'amore e la rabbia delle masse per riversarli a piacimento contro obiettivi e nemici che scelgono a tavolino di volta in volta, per meri interessi economici o semplicemente per alimentare ulteriormente il proprio potere.

Sono invincibili, la più grande preoccupazione è curare la loro immagine, avere una parte rilevante nel film in uscita, oppure evitare che scoppino scandali per le tante nefandezze che compiono sottotraccia. I Seven e la Vought (la loro azienda, che cura maniacalmente ogni istante delle loro vite) scelgono che cosa debba pensare la gente, inculcano la verità nelle teste dei cittadini d'America e del mondo, ma ne sono al contempo schiavi. Il loro terrore sta tutto nel non essere più amati, senza idolatria non sono niente.

Le eccellenti premesse narrative sono valorizzate da un approccio massimalista che punta all'accumulo: il mondo dei media, l'esercito, la medicina. Perfino i nazisti, alla fin fine, perché nella visione eterna della lotta tra bene e male non possono non avere una parte. La prima stagione introduttiva convince pienamente, proprio per lo shock del ribaltamento prospettico: nonostante il profluvio di film, nessuno ci aveva ancora ricordato che gli eroi (ma così le star e i politici di grido) in fin dei conti sono delle aziende, la persona reale e la sua immagine pubblica non possono combaciare. Ed è clamoroso il passaggio dall'utopia Marvel a questa realtà ben più cinica, tratteggiata nel fumetto di Garth Ennis e Darick Robertson. È come rinascere a una visione puramente contemporanea dell'epica cinematografica del 21esimo secolo, che proprio nel tentativo di rifondare un'epica aveva pensato di modellare eroi di fatto antichi, anacronistici, mitologici e quindi senza macchia. Qui, con un unico grande salto, andiamo avanti di qualche millennio e ci troviamo davanti a eroi tremendamente moderni: plastificati, mercificati, prodotti in serie in laboratorio e giostrati come burattini da un'oscura casa madre. Il concetto di eroe come condensato dello Zeitgeist.

Tutto è perfettamente contemporaneo in questa serie, che in fin dei conti non parla molto di supereroi, parla soprattutto del pubblico che li adora e delle mode che segue, delle verità a cui crede fideisticamente oppure accetta di ingoiare a fatica, dopo accurato bombardamento mediatico. Sono tantissimi gli spunti, ma non ha senso anticiparveli qui. Posso dirvi però che il massimalismo tematico ha pregi e difetti: da una parte amplifica le dinamiche narrative, perché il potere non è più soltanto forza, ma anche capacità di ribaltare l'opinione pubblica (con un filmato, un documento, una fialetta). Gli occhi laser di Homelander non possono cambiare l'antipatia incipiente nei suoi confronti: vorrebbe affettare tutti con un bel colpo accurato, lo brama, ma non può farlo. Perché la sua gioia, checché ne dica, sta proprio nell'essere adorato. È stato educato solo e soltanto per essere il Patriota, l'uomo più forte del mondo. E senza il mondo quell'uomo non avrebbe senso.

Dall'altra parte questa grande libertà di sparare contro tutto e tutti rischia di diventare stucchevole e retorica. Voglio dire: accumulando così tanti spunti si rischia di affrontarli solo in modo superficiale, dando schiaffi innocui a destra e a manca senza ferire nessuno. La chiesa, le case farmaceutiche, il militarismo esagerato per cui si arriva a potenziare i terroristi per avere maggiori libertà nell'eseguire azioni di guerra spregiudicate. Creare un nemico terribile (super terroristi o super cattivi? Si discute anche del nome da imporre ai media) per avere più potere e denaro. Più fama e idolatria. Sono accenni che funzionano alla grande per introdurre questo universo narrativo, ma senza un portato di realtà finiscono in chiacchiera generalista e disgusto preconfezionato.

Non è un caso quindi che con la seconda stagione il focus narrativo si sposti altrove, verso lidi ben più rassicuranti. L'assalto frontale ai capisaldi della società e della politica americana viene deviato verso un'impostazione più di trama, ci sono cattivi di diverso tipo, con mire differenti, ci sono gli immancabili nazisti, ci sono le questioni familiari dei protagonisti. Il sesso dell'eroe e il sangue degli innocenti. Le scopate e le masturbazioni. Insomma, forse l'esca dello scontro iconoclasta si è già rivelata tale, perché la stessa Amazon non può permettersi di sputare nel piatto in cui mangia lautamente.

Restano alcuni spunti caustici come la questione Lgbt, usata dalla Vought come grimaldello politico senza alcun retroterra (significative le indicazioni della manager per evitare che si superi la soglia di tolleranza del pubblico rispetto alle tematiche gay). Divertente la sezione “meta” in cui gli eroi recitano se stessi nel kolossal in arrivo, ma ognuno è solamente interessato alla propria immagine e quindi cerca di spingere il copione in una direzione o nell'altra. Svilente il ritratto degli sceneggiatori-registi che se ne trae, buffonesco. Chirurgica la scelta di inserire il terrificante Patriota in una trama sentimentale, che è in fin dei conti un'altra efficace metafora del sentimento americano dei padri rispetto alle nuove generazioni.

Un po' meno efficace in questa seconda stagione la costruzione della vicenda complessiva: i protagonisti “umani” che combattono contro il sistema dei supereroi vengono un po' sacrificati in sottotrame non efficacissime e in generale tutti i personaggi del gruppo “The Boys” risultano un po' meno brillanti. Al contrario, la cura psicologica usata per i Sette è magnifica, davvero un caleidoscopio di disordini mentali assortiti. Dall'ego-maniaco alla lesbica non dichiarata e sofferente, c'è la nuova arrivata StormFront con la lingua tagliente e un passato oscuro, il velocista tossico, l'anfibio malato di sesso che si affida alla Scientology di turno per ripulire la sua immagine. C'è l'eroina della luce che viene sessualizzata obtorto collo, e sua madre che le infonde continuamente una fede che è più che altro fanatismo religioso.

Una nota di merito per alcuni attori come Antony Starr e Karl Urban, e per l'uso spregiudicato della violenza e del sangue. C'è qualcosa di liberatorio in questi massacri perpetrati senza preoccuparsi dei danni collaterali: ovviamente non è un gusto sadico, ma semplicemente la possibilità di superare finalmente lo steccato odioso degli eroi senza macchia che combattono nel nulla per non ferire i civili. Sono anni ormai che si è presa questa china infantile e ridicola. Spero che The Boys non faccia lo stesso per adeguarsi al successo.

La serie non si avvicina ancora allo status di alcune produzioni per alcuni motivi precisi. Lo stile registico non è così raffinato, le musiche sono un po' scontate e soprattutto c'è una zavorra che pesa su una buona parte dei dialoghi. La scrittura segna un divario netto con le opere di primo piano assoluto, perché alterna affondi geniali (le questioni Lgbt, la follia maniacale verso i media) a diverse parti di costruzione poco aggraziata, con tante banalità e insistenze su aspetti scontati o secondari. Anche per questo motivo i protagonisti umani possono risultare un po' grigi. Non c'è, a mio modo di vedere, una profonda immedesimazione in nessuno di loro e quindi le emozioni escono con una certa difficoltà. Il gusto della visione è squisitamente intellettuale. Speriamo non diventi una manfrina innocua.

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