Dopo il mediocre Colpi di fulmine e la opaca prestazione sanremese con "Vorrei svegliarti", Eugenio Finardi si rialza immediatamente, e lo fa con una bellissima dedica al suo paese natale. Di madre americana, la soprano Eloise Dengenring, tanto che lui si definisce "nato in uno strumento", Finardi ha trascorso buona parte della sua vita negli States. Ma, al termine di un inverno rigido e noioso passato a Boston, con il freddo che si protrasse fino ad aprile '85, proprio nell'anniversario del giorno della Liberazione, 25 aprile (tutte splendide coincidenze!), il rocker milanese scrisse il suo pezzo più riuscito dei suoi anni '80 insieme a "Le ragazze di Osaka", ovvero "Dolce Italia".

"A Boston c'è la neve e si muore di noia..."

Un incipit grandioso, come meglio non si potrebbe.

Nel brano si cita espressamente come in Italia "sia già primavera" e come l'America sia "sempre in vendita come una troia". Negli anni, nei concerti Eugenio preferirà un più garbato "in vendita ed in paranoia".
La canzone è asciutta e diretta, scevra da virtuosismi, come lo sarà invece tre anni dopo nel riarrangiamento per l'album La forza dell'amore.

Il secondo brano è "La vita fa male", con un testo di alto livello, con versi illuminanti come "non conta il mezzo ma ciò che riesce a darti", dove si cita persino Cesare Pavese, ma dove alla fine, quando tutto sembra perduto, arriva il riscatto, perché lacrime agli occhi per tramonti banali e giochi con i figli rendono la vita, d'un tratto "non male".

"Musica desideria" ha un ritmo incalzante, assonanze testuali, ma la musica, appunto, rimane intangibile. Il Lucio che si è messo a fare un tango citato a inizio canzone è Dalla? Chissà, probabile, visto che aveva cantato nel 1979 un brano col titolo del ballo.

Dopo "desideria" arriva la "Carceriera", che forse è la depressione, cioè colei che toglie tutti i sogni (tematica ricorrente dell'album) e non lascia andare il protagonista. Bella ma ci si dilunga oltre misura, ma forse è proprio ciò che la rende riuscita.

"Amica" vede il duetto con Laura Valente, anticipando quello con Rosanna Casale ne "Le ragazze di Osaka" versione '90. Buon brano, disilluso e malinconico come il precedente, in cui dopo l'acqua (a cui era stato dedicato un inno) c'è il deserto.

Dopo un percorso intimista Eugenio ritorna alla rabbia politica nel secondo miglior momento del disco, "Soweto", città simbolo della fine dell'apartheid che sarebbe avvenuto di lì a poco. Cantata anche con Luciano Ligabue tre anni dopo, non dico altro, consiglio l'ascolto di entrambe le versioni.

Un ribelle come Finardi non poteva far mancare nel suo repertorio una dedica al maggio francese del 1968. E così ecco "I fiori del maggio", con alternanza di versi italiani e francesi, ed un ulteriore riferimento ai sogni, questa volta politici più che letterali.

La penultima canzone è "Basta", nella quale ci si schiera dalla parte dei più deboli. La metrica è la stessa di "Scuola" o di "Musica ribelle".

"Pessimistic" è l'ultimo lungo atto di questo viaggio sonoro, e si conclude la notte, ma senza dormire (e sognare!) bensì agitandosi nel letto invocando una donna. Il brano è tutto in inglese.

Dolce Italia è davvero un bel lavoro da 4 stelle meritate. La formazione di musicisti è quella storica di Finardi con l'aggiunta di qualche innesto come Demo Morselli, non ancora alla corte di Maurizio Costanzo. È un disco cupo ma intenso, di grande valore. Il vento di Elora, di due anni più tardi, saprà essere più ironico, specie in "Vil Coyote".

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