Stupendamente incompromissiorio, deviante, esploso (ed esplosivo), surrealista, l’agile musical/fragore (fundustrial worship, la autodefinizione...) trattenuto, davvero a stento, in questi miserrimi twentyseven degradati et scorticati primi attestanti la nuova contorta prova in recording studio dell’espressionista e macilento (now) duo New Yorkese, coadiuvato in questo sfibrante novello progetto dall’Oneida drummer Monsieur Kid Millions. Avvincente et claustrofobico (quanto travolgente) il felice maelstrom no-wave/industrial/noise propugnato senza remore, in queste altamente audio-acuminate sette schegg(i)e: l’estremo (già noto) in musica proiettato alle Sue più pericolose (e meravigliosamente vitali) intriganti, estreme consequences.
L’architrave strutturale (subconscio) parrebbe proprio quella dei primissimi Devo (fino a “Are We Not Men...” per intenderci, non un passo oltre) non tanto, of course, a livello meramente dinamico, quanto per la notevole free form-ità che caratterizzava gli esordi della banda guidata dal buon Mark Mothersbaugh, dalle cui timbriche, peraltro riprendono/dipendono parzialmente gli istrionici Shahin Motia-vocal/isterismi. Complessivamente ci si para innanzi un lucidissimo, avveniristico, quanto parossistico et baluginante caleidoscopio espressivo: se i (clamorosi) Brainiac fossero ancora “vivi” ed avessero deciso di accidentare pesantemente - parecchio - il proprio modulo espressivo, avrebbero intrapreso con buona probabilitade soluzioni stilistiche non particolarmente dissimili. Coloro i quali, come il miserrimo cianciante, si divertirono assai (et anche di più) con le disarticolate, spigolosissime e godibili precedenti prove (due LP più una sparuta manciata di singoli), all’ausculto di questo nuovo maledettamente rovinoso lascito resteranno completamente e positivamente esterrefatti nonche largamente soddisfatti: l’iridescente impasto-sonico è stato ulteriormente e beffardamente accidentato, la nervosissima forma-canzone (si fa per dire) delle precedenti testimonianze rimane pressoché un vivido ricordo “That's funny I don't feel like a shithead”, traccia iniziale (dopo caustica breve intro nella quale i “nostri” accordano - si fa per dire - los instrumentos), stordisce e annichilisce più del previsto e/o prevedibile per ustionante veemenza nonché caotica frontalità: basso und batteria più una selva impenetrabile di rumorismi assortiti (voce inclusa) si ergono a naturale sconquasso del padiglione auricolare con una ipnotica e variegata pseudo-live-jam percussionista/industriale; altresì la stordente e indomabile “Buy American” potrebbe configurarsi quale ideale quanto impenetrabile soundtrack per il recente trattato social/antropologico audio-visuale e documentaristico di Mr. Erik Gandini “Surplus” , oppure la definitivamente squassante “Headlines” scaturente una dose di suono-energia davvero oltre il limite del consentito.
Come diceva il buon vecchio e pubblicizzante Dan Peterson: Ex Models, per me, Numero UNO.
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