Ecco il 1985, ero un teenager metallaro e non ho avuto una vita semplice. Aggiungo un piccolo particolare: sono sempre stato etero. Voi direte che cosa c'entra? Facile da spiegare, non potevo andare in giro a fare il piacione raccontando dell'uscita di Black Metal dei Venom, o che Neil Turbin lasciava gli Anthrax dopo un album favoloso. Come potevo raccontare di Kill’Em All che mi stava travolgendo o degli Slayer che mi stavano cancellando i neuroni. L’unica possibilità di approccio era avvicinarsi alla New Wave, quindi Talk Talk, Adam Ants, Simple Minds e Depeche Mode a palla. Testi dei Duran Duran e Spandau Ballet a memoria. Doppio guardaroba e doppio atteggiamento. Camice da laboratorio con il caprone dei Venom e giubbotto di jeans con toppa posteriore gigante di Ozzy in Bark at the moon. Ma anche cappottone spigato nero con sciarpa nera, pantaloni neri, scarpe nere e guanti mozzati neri. Minchia che fatica.

La musica ci aveva divisi in due gruppi: cappelloni e dark, entrambi abbastanza anneriti. Io più annerito degli altri perché vivevo nei due mondi contemporaneamente.

Ed eccomi lì, a vivere il 1985. Grande anno per la musica Metal. Forse starete pensando “Falloppio stai facendo una cazzata, il disco che stai presentando è datato 2008. Ti sei mangiato broccoli, fagioli e altri ingredienti che ti hanno causato gas dall'intestino fino alla scatola cranica?”. No. Tranquilli. Il disco degli Exodus che piano piano recensirò è una riedizione dell’album d’esordio “Bonded by Blood” dal titolo “Let there be Blood”. Il titolo “Patto di Sangue” (in realtà la traduzione sarebbe “Legati dal sangue”, ma permettetemi una traduzione meno letterale e più teatrale), è facilmente spiegabile. California, spiaggia, un gruppo di ragazzi ubriachi marci, ascoltavano dallo stereo dell’auto i Venom e i Mercyful a tutto volume. Presi dalle vaccate che uscivano dalle casse, decisero di tagliuzzarsi i palmi delle mani e unirli per suggellare un patto con il sangue, istigati da un giovane Kirk Hammett, forse più fuso di tutti gli altri.

Come una valanga a cielo terso, nasce un disco importantissimo per il nuovo genere musicale ribattezzato “thrash”, che mi piace tradurre in “batosta”, da non confondere con “trash”, monnezza. Per un problema discografico, il disco esce l’anno dopo la sua realizzazione ed è una botta di musica violenta e originale. La voce di Paul Baloff ti mette i brividi come il gesso sulla lavagna, la chitarra di Holt è una bastonata sulla schiena e Hunting è un tritasassi che ti asfalta i timpani.

Dopo questo esordio, tour mondiale, casini sfrenati, droga e Mr.Baloff viene cacciato. Gli anni passano e il tira e molla con il cantante è periodico. Peccato che a “tirare” di più era proprio lui. Pippa oggi, pippa domani e dopo un giro in bicicletta, Mr.Baloff stramazza al suolo. Entra in coma e non avendo parenti stretti, data l’impossibilità di salvarlo, i componenti della band prendono la drastica decisione di staccare le macchine pochi giorni dopo l’attacco cardiaco.

Le lancette si sono spostate velocemente e siamo arrivati al 2008. Il sogno di Baloff e di tutti gli Exodus era rifare il loro primo disco con i suoni più moderni. E così nasce il tributo al loro primo singer, “Let there be blood” che non presenta nulla di nuovo, i pezzi sono identici e hanno lo stesso minutaggio. Sono ovviamente interpretati da un nuovo cantante che se la cava bene. I soli di chitarra sono molto più fresh and clean. Nulla di eccezionale, un semplice ricordo del passato con un vestito nuovo. Forse evitabile? Si, però la grandezza e la stima che il mondo metal ha nei confronti degli Exodus l’ha ribadita di recente Dave Mustaine nell’organizzare un tour per i Big Four Thrash Metal: Megadeth, Slayer, Anthrax e Metallica. Siccome i Metallica sono i più fighetti, e probabilmente non accetteranno di abbassarsi al livello delle altre band, il quarto gruppo potrebbe addirittura essere quello degli Exodus perché il patto di sangue continui nel tempo.

Vi auguro prurito al culo e braccia corte.

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