Trovarsi in una macchia mediterranea all'alba o al tramonto, da lontano guardare il mare, le barche, i pescatori e poco più in là un borgo, uno dei tanti borghi caratteristici del Mediterraneo.
Chiudere gli occhi e mentre riaffiorano pensieri e ricordi mille suoni viaggiano nella tua mente, come sinfonie. e tu ascolti quelle canzoni con vari strumenti etnici, come se fosse un pennello che fa mille sfumature su un quadro, mentre la tua mente è accostata da mille immagini e suoni che ti senti dentro.
Quando ascoltai "Creuza de mä" non feci altro che pensare, pensare, pensare. . . perchè è questo che ti crea l'album. Fabrizio non poteva fare di meglio per trasmetterci l'amore per le sue terre.

Il primo brano , "Creuza de mä, è la canzone forse più descrittiva dell'album dove descrive i posti e soprattutto le abitudini della gente. Naturalmente anche qui le sue canzoni cantate in dialetto si mischiano con gli argomenti del De André "vecchio", come "Sidun" che è un pianto di un padre nei confronti del figlio palestinese, ucciso da parte dei soldati israeliani, "A dumenega": la "Bocca di rosa" genovese, descrive i caroselli, antichi veicoli tipici di Genova, dove venivano liberate le prostitute. La trilogia "Sinan Capudàn Pascià" narra la storia di un marinaio genovese fatto prigioniero dai turchi nel 1400 (quindi XV secolo se non sbaglio) non scordando poi "Jamìn-a", "Â pittima" e "D'ä mê riva".

Insomma un album che ci fa essere fieri della nostra cultura, che purtroppo molte volte viene lasciata da parte, così che certe volte ci vergogniamo di essere italiani.

Carico i commenti... con calma