Si poteva benissimo raccogliere tutto il materiale in un solo album o al massimo in un doppio. E invece mi ritrovo fra le mani solo il secondo volume, con sole 8 tracce e 38 minuti, per fortuna di grande musica. Il primo l’ho comunque ascoltato. “Fabrizio De André In Concerto - Arrangiamenti PFM vol.2”, quello con la copertina verde, uscì insieme al primo alla fine degli anni settanta, come lucida e brillante testimonianza delle grandi manifestazioni dal vivo del nostro poeta genovese a Firenze e a Bologna, il Faber, con uno dei più grandi e importanti gruppi della scena italiana di successo in Europa, la Premiata Forneria Marconi, senza l’ormai uscito dal gruppo Mauro Pagani, che nel ‘84 avrebbe collaborato con De André per il colorato Crueza de mà.

Apre la versione italiana, più veloce e accattivante dell’originale Romance in Durango di Dylan (Desire), “Avventura a Durango”, già presente in “Rimini”. Segue la divertente presentazione di Franz di Cioccio della sua band accompagnatrice, con tanto di battute. Poi “Sally”, bellissimo brano, che acquista grazie alle musiche della PFM un ambientazione romantica e d’altri tempi. Ancora “Verranno a chiederti del nostro amore” (del bellissimo “Storia di un impiegato”), al piano, intensa come non mai, e ci fa capire come la musica italiana può creare gioielli assoluti che il mondo intero ci deve invidiare. Da ascoltare immaginando di essere lì, assorti o da soli nella propria camera da letto, al buio, immaginando e immaginando quelle parole cantate con classe che facilmente si ascoltano. Un altro capolavoro, "Rimini", sognante come nell’ omonimo album: "Teresa ha gli occhi secchi, guarda verso il mare per lei figlia di pirati penso che sia normale Teresa parla poco, ha labbra screpolate mi indica un amore perso a Rimini d'estate".

“Via del campo”, la seguente, diventa ancor più bella della versione rurale del 1967, impreziosita dagli arrangiamenti medievali, come “Maria nella bottega del falegname” di chiaro stampo rock e progressivo, con il ritornello cantato da Mussida e Co. Quest’ultima si prolunga nella successiva “Il testamento di Tito” brano de La buona novella, ultimo del disco, avvincente, particolare per le linee di basso tracciate da Patrick Djivas, fra la chitarra a 12 corde di Lucio “violino” Fabbri, il piano e le tastiere di Flavio Premoli, molto Genesis.

Un ottimo album live, con i pezzi più recenti per l’epoca, e forse anche quelli meno conosciuti, gioielli che con queste nuove invenzioni musicali acquistano una nuova vita. È pur sempre un continuo del primo volume, a mio giudizio migliore perché sono più evidenti le grandiose capacità del gruppo, quello con la bellissima e originalissima versione di “Bocca di rosa” o de “il Pescatore”. Nell’insieme si può considerare come un innovativo e originale Live del nostro panorama musicale.

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