È l'idea che prende il sopravvento sulla musica. Il voler dar significato, l'anteporre il proprio destino musicale a un arco narrativo. I Fall of Efrafa erano questo. Una fine ineluttabile e incontestabile, per nulla rovinosa, semplicemente voluta, perché l'integrità per certi individui, come Alex "CF" Bradshaw, viene prima di tutto. Richard Adams e La Collina dei Conigli sono lì, come segno indelebile, che marchia a fuoco il sentiero avviato con "Owsla", il mondo naturale e i suoi guardiani, e che raggiunge faticando per il peso sulle proprie spalle il successivo capitolo: Elil. Il nemico. Deve avvenire la caduta di Efrafa, della dittatura e dell'oppressione oppiacea che stritola e ingloba a se come una voragine senza fine non solo i conigli del libro, ma coloro che nella società sono più a pericolo. I deboli. Coloro che non hanno diritti. La schiavitù dell'uomo moderno, insomma. Non che la metafora si riferisca solo a loro in particolare, a macchia d'olio il malessere si diffonde, s'insinua viscoso e imprigiona, mette in ginocchio. Fa soffrire. Efrafa deve crollare. Non a caso la chiusura sarà "Inlé": morte. Per i nostri la parola "fine" significa lo sgretolamento di ogni forma di totalitarismo, ma lo sguardo atrofizzato si dirige con particolare critica verso religioni e il credo cieco, incondizionato che plasma menti a suo piacimento. L'aria si fa soffocante e pregna di sofferenza, qualcuno deve portar alla luce tutto ciò. Ce ne è il bisogno.

Questa, riferendoci ai "Fall of Efrafa", è una di quelle poche occasioni in cui ti vien da dire e chiudere il discorso con un semplice: ascoltateli. Capiteli, perché sì il legame fra testi e musica mai come in questo caso è imprescindibile. La potenza allegorica non sfocia solo nel sound del gruppo, ma trafigge su tutti i lati concettuali che s'uniscono nella fredda presa di coscienza che man mano si vien a creare su una tirannia sia fisica che psicologica. Tante volte si abusa del termine "musica impegnata", ma qui proprio non si vuole estremizzare o mitizzare oltremodo. Son artisti che capitano raramente ed è solo apprezzandoli pian piano che si può comprendere la mole di lavoro, di vita dedicata dietro a un progetto così. È un monolite dai tratti a là Godspeed You! Black Emperor, e non è un nome post-rock sparato lì, a random, che cerca di sconfiggere la propria rigidità abbracciando la ruvidità del crust di His Hero Is Gone, oramai dosato in una piccola parte rispetto a "Owsla", ma che sa incidere in tutta la sua adrenalinica corsa auto-distruttiva. Elil è un disco pesante. E no, non è per il fatto che siano 3 composizioni da 20 minuti ciascuna ad assemblarlo nella sua interezza, ma perché il paesaggio musicale così concepito è cupo e malinconicamente apocalittico. È l'esser inghiottiti da fauci che si nutrono di annichilimento e massificazione. Un senso d'urgenza che emerge dalle disperate urla, senza dimenticare di bilanciare l'ambient e le reminiscenze folk, con le deflagrazioni sonore che renderebbero fieri i Neurosis. Registrazioni di bollettini e news che sembrano provenire direttamente da una radio abbandonata di una città sepolta, in cui le tombe si deteriorano sotto una pioggia acida. Non c'era nessuno lì fuori che suoni come loro, i Fall of Efrafa erano unici, in grado di unire una complessità machiavellica fatta di post-hardcore con la schiettezza del mondo hardcore punk.

Rimangono i saliscendi solenni e il tentennare per nulla fragile, ma pronto a dar l'altare a tutta la rabbia in corpo di Alex, vero mastermind della trilogia Fall of Efrafa, come testimonianza di una moralità fallita in cui l'ignoranza e i soprusi non devono aver la meglio. In un certo senso vorresti che l'Odissea personale forgiata sullo scritto di Adams non finisca mai, con quelle distorsioni che cadenzate e sulfuree non fanno altro che trascinarti sempre più giù con loro e delle melodie che appaiono stridenti nella loro finta quiete liberatoria. Lenti arpeggi che trasportano verso la morte, nel senso più letterale del termine, per conoscere completamente cosa ci sta dietro il velo di soggezione e inganno: "Inlé". Forse ho scritto poco di musica nel parlare di "Elil", ma credo che questa sia la via migliore per approcciarsi all'universo di Bradshaw e dei suoi progetti (Momentum, Light Bearer, Anopheli), perché in fondo basta For El Ahraihrah To Cry per spiegare tutto e la nube densa non si dipana proprio, immerge nella sua coltre i Fall of Efrafa per sempre.

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