Credo che i Family possano essere considerati l'estrema propaggine dei gruppi che dominarono la scena musicale 1967. La famosa estate 1967, nella quale musicisti come Doors, Pink Floyd, Traffic, Beatles, Velvet Underground, Jefferson Airplane mostrarono al mondo che si poteva fare, creare un nuovo tipo di musica, fuori dagli schemi, fuori dai canoni. La psichedelia si spostava dalla mente viaggiante ed annebbiata di un ragazzo, per posarsi nelle note di un artista ricettivo al cambiamento di quegli anni.

Ebbene, è trascorso appena un anno, e siamo nel 1968. Cinque ragazzi che hanno appreso le istanza delle dolci armonie che li avevano fatti viaggiare poco tempo prima, e vi rimescolano il nascente stile Progressive. Ed è questa la prima peculiarità del disco: il suo continuo mischiarsi di generi, il non fermarsi mai, composizioni brevi, due minuti e via. Eppure non c'è bisogno di più: nella casa delle bambole dei Family si aprono ogni volta stanze sonore diverse, capaci di divertire, far sorridere ed inumidire gli occhi, battere il piede ed ascoltare contemplando il silenzio. Rock mischiato a canti gregoriani: Old Song for New Songs, probabilmente il brano migliore del disco. Svogliati e dolciastri richiami blues - Hey Mr. Policeman. Epicità del gesto travestita da ballata - Mellowing Grey, Never Like This e Me my Friend. Sfottute orientaleggianti, con annesso sitar - Variation on a Theme of Me my Friend, Peace of Mind, The Breeze. Chiusura da fanfara di paese (3 x Time).

Ed in più, assenza del ritornello, cambi di tempo, strutture inusuali, canzoni basate più sull'atmosfera creata dalla strumentazione (e nella quale fa una gran figura il violino di Ric Grech) che sui testi. Le variazioni che vengono prima dei temi (Hey Mr. Policeman, The Breeze).

Ci si è dimenticati forse di una parte importante, si dirà. La vera stella, la pietra d'angolo che fa quadrare il cerchio. Un uomo, un nome, una voce, Roger Chapman. Lo considero, nel panorama musicale internazionale di quegli anni, secondo solo a Tim Buckley. La sua voce è animalesca, è forzata, è devastante, è un fiume in piena. Sembra appartenere addirittura a due persone diverse (Me my Friend). E' l'anello di congiunzione tra l'atmosfera del disco e le nostre orecchie. E non sarà così in seguito, nemmeno nel famoso "Fearless", dove il timbro si era irrimediabilmente consumato, rovinato dal suo uso selvaggio e sregolato. Roger Chapman ispirerà una generazione di epigoni, dei quali uno dei primi sarà un certo Peter Gabriel.

Ho citato, non a caso, i Traffic all'inizio di questa recensione. Produce questo lp Dave Mason, spalla del trio dietro a Steve Winwood. E la sua influenza - manco a dirlo - si sente, non solo perché suona le tastire in Never Like This ed in una manciata di altri brani. Perché trasporta il clima dei Traffic, che già s'erano affermati nel panorama circostante, dentro una band esordiente che voleva farsi strada. E ci riuscirono, a partire da questo strepitoso esordio, a metà strada tra il Progressive e la Psichedelia, tra il Rock e i sentieri della Mente.

Carico i commenti... con calma