Gli scrittori russi sono notoriamente prolissi ed i loro libri, a volte di migliaia di pagine, non invogliano tutti alla lettura, soprattutto i più giovani e soprattutto in tempi in cui sembra mancare la pazienza e la calma per addentrarsi in pagine dense, in vicende complesse, astraendo dalle nostre mode e dalla nostra sensibilità.

Bene ha fatto dunque la casa editrice Salani a pubblicare nel maggio scorso l'estratto di "La leggenda del grande inquisitore", dal capolavoro (stando a chi lo ha letto e contando sulla sua sincerità) di Fëdor Michajlovic Dostoevskij "I fratelli Karamazov", perché consente a tutti di leggere, in poco tempo, e con poca spesa, uno dei miti/parabola più suggestivi che siano mai strati scritti, e permette di riflettervi sopra senza dover passare per la fatica di leggere l'intero romanzo.

Niente più scuse, dunque, per giovani e meno giovani: Dostoevskij vi aspetta e vi può cambiare la vita (o la percezione di essa)!

La leggenda è narrata da uno dei fratelli Karamazov, il cinico e sagace Ivan, al più giovane, religioso e timorato fratello Aljoscia, e costituisce un espediente retorico posto all'interno del romanzo per discutere attorno all'eterno tema del Bene e del Male e della conseguente dialettica fra libertà e soggezione.

L'uomo è veramente libero? Quale prezzo può avere la sua libertà? Ammesso che una libertà sia possibile, è essa desiderabile? Se esiste la soggezione, in nome di cosa essa è esercitata dai detentori del potere e del sapere? Esistono alternative possibili a questi dilemmi, terze vie di sintesi fra opposte tensioni?

Questi alcuni degli interrogativi che il racconto pone al lettore.

Circa il racconto in sé, si narra del ritorno di Cristo in terra, presso la Spagna del XVI secolo e dell'Inquisizione.

Cristo viene riconosciuto da tutti nella piazza in cui si celebra il rogo degli eretici, compreso il Cardinale della città e capo della locale Inquisizione.

Questi, anziché chinarsi al Suo cospetto, vede bene di imprigionarlo e di condannarlo a morte.

La notte stessa lo va a trovare, di nascosto, nelle carceri in cui è stato tradotto, avviando un lungo monologo in cui spiega al Figlio di Dio le ragioni di questa prigionia e della futura condanna.

Sostiene l'Inquisitore che l'uomo abbia paura della scelta, che non sappia e non possa scegliere in quanto, al fondo, è la sua natura ad impedirlo, preferendo affidarsi a chi soddisfa i suoi bisogni materiali, lo soggioga con il miracolo, lo sottomette con l'autorità.

L'uomo non sa scegliere fra bene e male, ed allora delega questa scelta, assieme a tutto il potere necessario, a pochi eletti, come gli uomini di Chiesa, che operano per il suo bene, in sua vece ed in suo conto.

Gli uomini di Chiesa - simboleggiati dall'Inquisitore e dai Gesuiti, oltre che dal Papa - assumono su di sé la responsabilità della scelta non tanto per una brama di puro potere, ma per una sorta di assoluta chiaroveggenza che li fa vedere oltre, e che fa comprendere loro come ogni sovrastruttura trascendente sia un falso, come pure un falso la discesa di Cristo e la promessa di eternità.

Il loro potere viene esercitato, paradossalmente, proprio a favore di coloro che non sanno, agendo nel nome di una promessa di vita eterna che, in fondo, non esiste: per calmarli, renderli sereni, assumendo su di sé il peso esclusivo della verità e rovesciando - o meglio portando alle sue estreme conseguenze valorizzandone una lettura "naturale" - la metafora del gregge e del pastore (la stessa che trovate in "Sheep", da "Animals" dei Pink Floyd).

Secondo l'Inquisitore, chi comprese al meglio la realtà dei fatti così esposti fu, nel Vangelo, il diavolo tentatore, che nella sua intelligenza assoluta e terrena "tentò" Cristo proprio mostrandogli l'inutilità ultima della sua discesa in terra, ed il destino ineluttabile delle cose, e spingendolo a rivelare al mondo il suo essere Dio, perché solo così facendo avrebbe avuto gli uomini dalla sua parte ed avrebbe evitato la deriva dei suoi discepoli.

Cristo, dopo aver ascoltato il racconto, bacia l'Inquisitore. Questi, atterrito, smarrito, lo lascia andare.

Tante le possibili interpretazioni di quest'opera letteraria e filosofica: una di esse è scritta da Gherardo Colombo, ex giudice milanese, nell'appendice del libro, e prospetta il problema in chiave laica e politica.

La mia impressione, seppur succinta, è questa: l'Inquisitore altri non è che il diavolo, e tutto il suo monologo una ulteriore tentazione che pone a Cristo, mostrandogli il nichilismo profondo delle cose, l'apparente vanità del bene, l'assenza di vie d'uscita per un uomo naturalmente sottomesso al potere, e ad una Chiesa che si è fatta essa stessa potere, tradendo probabilmente il messaggio originario annunciato nei Vangeli.

Tutto il palinsesto ordito dall'Inquisitore può essere visto dunque come una distopia, od utopia rovesciata, dei valori cristiani inveratisi nella storia, e come una sollecitazione di Cristo a rimostrarsi come Dio, e non come semplice uomo fra gli uomini, rovesciando i termini della questione, chiarendo, anche solo con un'ultima delle sue parole e delle sue parabole, il vero significato dell'umanità.

Così Cristo non fa, restando silente e non cedendo alla tentazione: anzi, bacia l'Inquisitore in una sorta di bacio speculare rispetto a quello di Giuda traditore, che nulla dice ma che tutto simboleggia, e, forse, spiega.

Così anche Aljoscia bacia al fine il fratello Ivan, miscredente e cinico, mostrandogli comprensione ed amore, e non cedendo alla sua provocazione, tesa a mostrare il volto di una religione e di una Chiesa che deve essere prosecuzione dell'annuncio evangelico ed affermazione del Bene sul Male.

Il silenzio di Gesù è il silenzio che si addice ai mistici, placando gli strepiti di chi tutto vuole comprendere e vuole criticare in un'ottica mondana, temporale, impaziente.

Un racconto splendido ed ironico, dunque, se letto con la giusta predisposizione ed umiltà: una parabola che rinsalda la fede e spinge a credere, ma che nella sua grandezza si rivolge anche ai laici, spronandoli a interrogarsi sulla dimensione trascendente, e comunque garantendo loro ampi spazi di riflessione anche prescindendo dalla dimensione religiosa di questa parabola.

Buona e feconda lettura!

Carico i commenti...  con calma