Album di debutto per i Fear Factory, band capace di rivoluzionare e di molto gli stilemi del metal estremo, autrice di uno degli album più importanti del genere, il seguente "Demanufacture". La band comprendeva Burton C. Bell alla voce, Dino Cazares alla chitarra, Andrew Shives al basso e Raymond Herrera alla batteria. Il grande pregio di ogni membro dei Fear Factory è quello di saper personalizzare al massimo la propria prestazione: Burton Bell ad esempio ha una voce che in questo primo album spazia da un growl cattivissimo ad una voce pulita molto particolare, quasi da androide capace di provare emozioni! I riff di Cazares sono un altro dei marchi di fabbrica dei Fear Factory, oramai imitatissimi. Assenza di assoli, ritmiche quasi militaresche, da "mondo dominato dalle macchine" che è poi la visione che in ogni album dove più e dove meno, propone il gruppo. Per non parlare della vera macchina umana del gruppo, parlo del batterista, il robot Herrera, di cui ho potuto godere della sua prestazione anche dal vivo (eh). Non ho mai sentito un batterista che usa in modo così pulito e chirurgico il doppio pedale, quasi come se fosse una seconda batteria!

Quest'album si discosta dai successivi, il suono non è ancora focalizzato al massimo ed un po' grezzo, ma il brutal death o meglio ancora post-death con qualche elemento industrial che ci propongono i Fear Factory in quest'album, ha già una sua personalità ben spiccata e la voce robotica di Bell è già ben presente in quest'album! Dall'iniziale "Martyr",che mi fece sobbalzare dalla sedia la prima volta che l'ascoltai, a causa del growl ferocissimo del cantante, io che ero abituato alle produzioni recenti del gruppo. Degne di nota sono anche la seguente "Leechmaster", "Scapegoat", un loro classico in cui già si intravedono alcuni elementi futuri del gruppo (tecnologizzazione del suono, voce robotica di Bell, ritornello da androide mezzo-umano), anche se è ancora evidente la matrice brutal death, che però rende il lavoro molto godibile, forse eccessivamente lungo e dispersivo (sono ben 17 i brani), ma teniamo conto che siamo di fronte ad un debutto e per lo più molto personale ed interessante.

Il verbo tecnologico mischiato alla brutalità, continua nelle seguenti canzoni come ben dimostra "Life Blind" che come suono è tra le più vicine a "Demanufacture". Da segnalare il rumorismo e il noise completo di "Natividad" e l'intro provocatoria e accusatoria nei confronti della società americana (a dimostrare che anche nelle tematiche i Fear Factory si distanziavano da molti gruppi estremi) in "Big God", dove Bell declama:

"In America today, every 25 fucking seconds someone is viciously raped, someone is brutally violated; 250 times a day someone is murdered, someone's life is taken, In America; This is America, This is America, and I love America, I love America!"

Il meglio doveva ancora venire, ma quest'album conserva ancora tutto intatto il fascino che solo un debut-album e una band giovane e incazzata può avere, quell'atmosfera da mondo suburbano alla Orwell!

 

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