I Feeder arrivano al ragguardevole traguardo della nona prova in studio con questo “All Bright Electric”, ideale seguito dell’ottimo “Generation Freakshow” del 2012.

Nel mezzo, il frontman e songwriter Grant Nicholas ha avviato una buona e proficua carriera solista con l’album d’esordio, “Yorktown Heights”, ed il successivo mini-album “Black Clouds”. Esperienza che ha influito pesantemente sul songwriting dei nuovi pezzi destinati alla band madre, come dichiarato anche dallo stesso Nicholas.

Il nuovo lavoro si apre subito con i due singoli che lo hanno anticipato, tra le poche tracce del disco ad offrire un gancio significativo con i Feeder più classici, anche se in modo diverso: se “Universe Of Life” costruisce un ponte tra l’estrema essenzialità di “Renegades” ed il grunge pumpkinsiano dell’esordio “Polythene”, utilizzando un riffone corposo e granitico che si stampa subito in testa, “Eskimo” è una delle rarissime virate verso il pop rock più accomodante dei Feeder di metà carriera.

Da qui in poi, l’album prende una strada meno accessibile e più tortuosa, diciamo più attenta alla sostanza e alla solidità della struttura dei singoli pezzi, e meno alla ricerca del ritornello perfetto. Non vi è quasi più traccia dell’estrema orecchiabilità del precedente “Generation Freakshow”, bensì si cercano trame più complesse e stratificate, come nella clamorosa “Infrared-Ultraviolet”, highlight assoluto dell’opera.

Poche le concessioni alla ballad anthemica in stile “Feeling A Moment”, forse ridotte all’unica “Another Day On Earth”, che vengono preferite a fiammate di scintillante post grunge, come nel caso di “Geezer”, “Divide The Minority” (molto Amplifier), “Holy Water” o “Hundred Liars”. “Paperweight” è un punk rock dritto per dritto, quasi un sequel di “In Your Honesty” dall’album precedente. “The Impossible” è pregna di quei saliscendi melodici tanto cari a Nicholas, “Oh Mary” (già presentata live in chiave acustica) è un cupissimo numero molto vicino all’esperienza solista del frontman.

Le due tracce bonus di chiusura, “Slint” e “Eyes To The Sky” (la prima più arrembante, la seconda più riflessiva), sono dei buoni pezzi ma leggermente scollegati dal resto del discorso (forse proprio per questo non sono state considerate nella versione standard del disco).

I tre gallesi, in definitiva, continuano a pubblicare dischi all’altezza dell’ormai consolidata fama di band veterana della scena musicale anglosassone. Sperando che continuino così, visto che ogni volta è una gran gioia per i padiglioni auricolari.

Miglior brano: Infrared-Ultraviolet

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