Quando una band arriva all'ottavo album in carriera non è mai un caso. E di certo i Feeder non sono ormai più una sorpresa. Con pazienza, determinazione e soprattutto tanto, tanto talento, quasi tutto concentrato nel frontman Grant Nicholas (forse uno degli autori più sottovalutati degli ultimi quindici anni), si stanno ritagliando un comodo spazio tra le band più longeve nel panorama artistico britannico.
Ma quello che più sorprende è un altro aspetto: questo ottavo lavoro in studio, uscito con quasi un mese di ritardo rispetto all'iniziale tabella di marcia e battezzato "Generation Freakshow" (titolo magari non brillantissimo, ma indubbiamente azzeccato, visti i tempi che stiamo vivendo), è la loro migliore prova in assoluto se si esclude un capolavoro forse irripetibile come il clamorosamente sottovalutato "Comfort In Sound".
Il nuovo disco, che inizialmente è stato progettato come un "Renegades" (precedente opera in studio, del 2010) "parte seconda", si è poi progressivamente evoluto come opera indipendente ed autonoma dalla precedente studio release. E proprio a proposito di "Renegades", ascoltando "Generation Freakshow" si comprende in maniera persino più profonda il significato e la funzione di un disco basilare, aggressivo, "sporco e cattivo" come quello: una specie di "pulizia del sangue", un modo di fare tabula rasa a colpi di quell'alternative rock che rappresenta da sempre il background della band gallese. "Silent Cry", album uscito nel 2008, era infatti un ottimo disco, ma arrivati al punto di fondere l'attitudine melodico-malinconica del dittico "Comfort In Sound" / "Pushing The Senses" c'era poi da decidere verso quale direzione andare; la scelta di Nicholas e Taka Hirose (bassista) è stata quella di fare una specie di "reset" sfornando il disco più duro della loro ultra-decennale carriera.
Non si fraintenda, però: il nuovo lavoro non è un disco semiacustico o lento, tutt'altro. E' un disco sì più "commerciale" ed eclettico (parole dello stesso Nicholas), ma fatto di rock roccioso e compatto, se si escludono un paio di episodi: la morbida ballad "Quiet", che comunque si accoda alle migliori cose dell'opera, e il nuovo singolo "Children Of The Sun", anthemica e malinconica strappalacrime che si pone sullo stesso piano di vecchi cavalli di battaglia come "Feeling A Moment" e "Yesterday Went Too Soon", numeri nei quali Nicholas è assoluto maestro.
Per il resto, ampio spazio assicurato alle chitarre, a partire dalla superba apertura "Oh My", sorta di college rock à la Weezer sapientemente "macchiato" da tastiere e loop di batteria, e basato su di un andamento altalenante "quiete/tempesta/quiete" prettamente grunge. Segue "Borders", tipico singolo perfetto à la Feeder (oltretutto già conosciuto a menadito dai fan, visto che la band l'ha anticipata live già in alcune date un anno fa) e la magistrale "Idaho", nirvaniana nell'incipit ma poi impreziosita da un ritornello degno della migliore tradizione brit-rock. "Hey Johnny" è un gradito virare verso atmosfere lievemente plumbee, la chitarra si fa vagamente minacciosa per poi esplodere e "distendersi" nel refrain, certo più vitale ma non troppo; un momento maggiormente "scuro" ma che nel disco ci sta, alla grande. Superata la succitata "Quiet", la doppietta "Sunrise" / titletrack rialza i toni: la prima gioca di nuovo sul contrasto strofa composta / ritornello aggressivo, ma stavolta la melodia vocale e l'andamento sono costanti e il pezzo scorre via attraverso un azzeccatissimo ritornello botta/risposta che garantirà successo assicurato durante gli imminenti live (da non perdere) del gruppo. Con la seconda, invece, si viaggia cavalcando fascinazioni pumpkinsiane (la "grattugiata" iniziale è pesante debitrice di "Zero", così come la vecchia e bellissima "Helium"). "Tiny Minds", altro pezzo che ha anticipato l'uscita dell'album, sembra uscita da un disco dei Pixies, e il contrasto tra il cantato disteso di Grant e i chitarroni granitici del ritornello ne fanno l'ennesimo inno nella carriera del duo gallese.
La parte finale del disco vede un accelerata nei bpm con il dittico "In All Honesty" (forse il pezzo più radiofonico del disco, un punk rock corredato di ammiccanti coretti che sarebbe stato benissimo nel vecchio "Yesterday Went Too Soon") / "Headstrong" (garage rock che piacerebbe tanto agli Hives), prima di chiudere sulle suggestioni vagamente folk di "Fools Can't Sleep" (unico pezzo dell'album che richiede qualche ascolto in più per essere assimilato a dovere) e sulla già sviscerata "Children Of The Sun".
I Feeder proprio non riescono a fare dischi brutti, questo ormai è assodato. Stavolta però hanno superato davvero sé stessi: adesso non resta che gustarceli live.
Tracce chiave: "Idaho", "Sunrise", "Generation Freakshow", "Tiny Minds"
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