I Feeder stanno sperimentando, ormai da sette anni a questa parte, una ritrovata popolarità.

Con tre lavori consecutivi in top ten britannica, il duo formato da Grant Nicholas e Taka Hirose ha ritrovato uno stato di forma che sembrava ormai definitivamente perduto dopo qualche episodio certamente non brutto, ma piuttosto sottotono (“Renegades” su tutti). Con “Tallulah”, pubblicato ormai tre anni fa, la band gallese si è definitivamente rilanciata a livello qualitativo e di popolarità centrando un’insperata top five nella chart UK e, sull’onda dell’entusiasmo, il frontman e main songwriter Nicholas si è messo subito a lavoro su di un ipotetico undicesimo lavoro in studio.

A lavori praticamente completati (con il solo mixaggio da effettuare), è successo quel che tutti sappiamo: pandemia, lockdown e quel che ne è stato. Nicholas si rimette quindi a scrivere ed accantona l’intero album (momentaneamente, visto che verrà probabilmente pubblicato tra un anno) per ricominciare da capo e lavorare su di un nuovo set di canzoni, che andranno a comporre questo “Torpedo”, undicesima effettiva uscita targata Feeder.

Si tratta di un disco che, da una certa prospettiva, è la cosa più vicina ad un ritorno alle origini che i due abbiano mai pubblicato nel dopo “Polythene” (strepitoso esordio datato 1997); c’è di nuovo un marcato retrogusto sporco e grunge nelle dieci composizioni proposte, che prende decisamente il sopravvento nel riffing serrato e nelle atmosfere più grigie di “Decompress”, “Slow Strings” e soprattutto “Magpie”, secondo singolo e vera mazzata in odor di Alice In Chains.

Questa patina più opprimente si ripropone lungo tutta la durata dell’album, e va anche a palesarsi laddove il duo si riconnette con il lato più brit e melodico della propria proposta, vedi il quarto singolo “The Healing”, ballad di oltre sei minuti che ci riporta alle atmosfere di album più accessibili come “Pushing The Senses” e “Comfort In Sound”, per poi sparigliare le carte con un violento intermezzo in odor di prog metal. La titletrack, scelta in maniera appropriata come lead single, è un vero e proprio manifesto programmatico del sound dell’intero lavoro, ribadito dalla successiva “When It All Breaks Down” che sfodera nella strofa il miglior riff dell’album alternandolo ad un ritornello arioso in pieno stile Feeder.

Ma il piatto forte della casa, ovvero un’impressionante bravura nel costruire melodie vicine alla perfezione, non può mai mancare: ecco così una sontuosa “Born To Love You”, inno britrock posto poco prima della più pacata chiusura “Submission” (che fa il paio con “Hide And Seek”), ed il terzo estratto “Wall Of Silence”, che ammicca maggiormente all’airplay radiofonico (anzi, visti i tempi alle playlist Spotify).

Ennessimo centro pieno per la storica band gallese.

Brano migliore: Born To Love You

Carico i commenti... con calma