Birmingham con le sue ciminiere industriali, gote gonfie di fumo che sbuffano nel cielo un corposo nero pece che impregna l'aria, il respiro e le vite che si muovono al di sotto di esse con la frenesia, a volte indolenza, di tutti i giorni. Un cuore pulsante, un polo strategico che una volta rappresentava la miniera d'oro della città ma, dopo la crisi della siderurgia è diventato un polmone malato, sfaldato in centinaia di strutture fatiscenti in disuso. In questa spettrale topografia di sobborghi sovraffollati, di industria e proletariato (binomio indissolubile che si alimenta reciprocamente) e di odio-amore, profitto e necessità si fronteggiano nel gioco delle parti che vuole il capitalismo avido e senza scrupoli contrapposto ad una classe operaia ridotta alla canna del gas, asservita al padrone, ai veleni e, di li a poco, svenata dalle politiche scellerate della Thatcher culminate nel drammatico, sanguinoso sciopero dei minatori del 1984-1985 a Londra.

In questo contesto, in queste strade, nei primi anni 80, vivono di ambizioni e speranze band come gli Swell Maps, Dexys Midnight Runners, Au Pairs, Lawrence Hayward ed i suoi Felt. New York non sembra tanto lontana dalla piovosa, grigia Birmingham quando sul piatto gira "Marquee Moon" e prende i connotati di un'oasi proibita, la mecca musicale, la terra promessa con i suoi Television, Lou Reed e Talking Heads. Tom Verlaine esercita una forte ascendenza sulla psiche di Lawrence Hayward, schivo e alienato giovanotto con l'ardimentoso progetto di sfornare dieci dischi in dieci anni. Dopo un debutto abbastanza promettente (Crumbling The Antiseptic Beauty) nel febbraio del 1984, prodotto dalla storica label londinese Cherry Red Record,viene alla luce "The Splendour of Fear" che colpisce già nella sua presentazione visivacon l'ambigua copertina che raffigura la locandina del film "Chelsea Girls" di Paul Morrissey e Andy Warhol.

Quest'opera è molto più di un disco, è un quadro a tinte forti dove sogni e desideri di riscatto lottano contro le frustrazioni della quotidianità, in altri tratti le disillusioni assumono i connotati di certezze assolute, evidenziando un profilo a volte inflessibile e provocatorio ma, perlopiù, rassegnato e arrendevole. Le liriche di "The World Is As Soft As Lace" sono illuminanti e rivelatrici in questo senso:"If I could I would change the world, but you know my visions they're absurd..." ; parole amare addolcite, in una surreale atmosfera, dalla conciliante e pulita trama jangle-pop del validissimo Maurice Deebank. Un potpourri di pennate, riff ed assoli perfettamente collocati in un casellario ideato con cura e ingegnosità, costituisce la sontuosa sezione musicale del disco, in prevalenza strumentale. " The Stagnant Pool" rincara la dose,"The stagnant pool, like a drowned coffin, still as a deceased heart, haunting the ghost of the noble crusader..." un mantra ipnotico che aleggia in otto minuti di pura delizia, ricamato finemente dalla magistrale esecuzione di Deebank , un must assoluto dell'intera produzione musicale britannica. La breve e radiosa "Red Indians", flash psycho-mistico in un territorio ai confini del nulla,"Mexican Bandits", affine ai Cult di "Love", l'egregia "The Optimist And The Poet"e la soave "A Preacher In New England" dal sound Guthrie-style confezionano il capolavoro.

Anche i Felt, come molte altre luminose meteore, nonostante un più che meritato biglietto business class, son rimasti nella sala d'attesa con una valigia carica di emozioni ad aspettare un treno che non è più arrivato o forse, pensandoci meglio, hanno intenzionalmente perso.

Carico i commenti... con calma