Nemmeno Bruce Springsteen nella sua fase redneck era più noioso dei Fontaines D.C. nella loro fase rappresentanti d’istituto. Più le riviste di settore cercano di convincermi che questi dublinesi sono i principali protagonisti del rinascimento post-punk, più mi convinco che questo rinascimento esiste solo nella testa di chi riesce a trovare elettrizzanti i dischi di band che hanno imparato a suonare il basso imitando gli Interpol, invece che qualcuno con un briciolo - il minimo essenziale, proprio - di groove.

I Fontaines D.C. sarebbero una di quelle band da perculare in malo modo, sfoderando il peggio del proprio sarcasmo, come del resto ho fatto nella recensione del loro primo disco (una porcheria di rara bruttezza). Ma voglio andare a fondo della questione, perché non è umanamente possibile trovare eccitanti dischi come questo. Non ci sto, non sono io che ho gusti diversi, siete voi che state sbagliando e avete dei gusti di merda. Sia chiaro che gli Interpol, il basso, lo sapevano suonare, e quel minimalismo dritto era il frutto di una scelta estetica e politica, militante. Era il suono di New York nel vuoto di ground zero.

Invece questi sono di Dublino, una città di birraioli inebetiti. Se sei di Dublino, e che cazzo, come puoi sperare di comunicarmi qualcosa se metti un basso mononota e una chitarra stupida che lo segue pedissequamente? E se la batteria ci sale in groppa sorniona e idiota e tu ci canti sopra con una voce nasale che fa venire lo schittone ai ratti? E lo sai che cosa me ne frega dei testi “arrabbiati”, “insoddisfatti”, “punk”? Lo stesso che frega a te di fare una musica che non sia derivativa come i miei coglioni, e quindi niente. Che cosa vuoi dirmi? Che ti manca la figa, il lavoro, la playstation, la droga? Metti giù gli strumenti e fai qualcosa di concreto, che ne so, prendi un volo e vai in Erasmus, scappa: se a vent'anni stai qui a lamentarti su questa musica che è più vecchia del nonno di tuo nonno quando già era in pensione, stai solo buttando via tempo e opportunità, senza contare lo sfracellamento di coglioni che produci in chi ti ascolta.

Questo disco è la morte della gioventù, la morte dello spirito, mi fa quasi dare ragione agli scopati che ogni tanto scrivono “la trap fa il culo al rock” per racimolare due views e un’intervista con un rapper strafatto di codeina. Tenetevi pure queste band del cazzo, questo suono cupo da cantina, queste canzoni inibite e impostate. Avete ottant’anni, e non all’anagrafe, ma nel cuore, e la cosa triste è che vi credete degli eterni “adolescenti dentro”. Ma stocazzo.

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