Quando apparvero sulla scena, nel 1969, destarono non poco scalpore. Quantomeno in Italia: in un Paese abituato ai soavi gorgheggi di Mina (tanto per citarne una fra tante) o alla musica leggera - ma che più leggera non si può - degli aficionados canzonettari sanremesi che si trascinavano stancamente dalla fine dei '50 per tutti i '60, era già stata una mezza rivoluzione Battisti. Si era però in un periodo di grande cambiamento, come si sa:  fortunatamente i talenti non mancavano, e prima dell'esplosione dei gruppi prog nostrani si stavano già muovendo nel sottobosco tutta una serie di gruppi che saranno il vero traino per chi verrà dopo. Così accadeva che Battisti fosse il pianeta attorno al quale gravitavano, di volta in volta, Dik Dik, i Giganti, i New Trolls, i Camaleonti, Riki Maiocchi e molti altri.

Rivoluzione, si diceva. I tempi correvano veloci, e non si era troppo avanti per pensare come Gabriele, Tony e Alberto. Di sicuro qualcosa di nuovo l'avevano: mai si era vista prima una formazione ridotta tanto ai minimi termini. Erano solo in tre, e in più mancava il basso, ma pestavano come fossero stati in otto. Alberto Radius aveva suonato con Battisti (di nuovo lui...), Gabriele Lorenzi aveva collaborato con i Camaleonti e poco più, Tony Cicco era un perfetto sconosciuto. Le svisate di Gabriele e la violenza di Tony erano inconcepibili in Italia per quei tempi, la chitarra di Radius era l'asse portante su cui poggiavano tutte le canzoni.
Così, per il singolo di lancio, scelsero un pezzo di Lucio, Questo Folle Sentimento. In fondo, si dissero, loro avevano qualcosa in più che gli altri non avevano e non c'era bisogno di scrivere canzoni, almeno non subito - quello l'avrebbero fatto gli altri. E in effetti quel "qualcosa in più" c'era: un'attitudine hard rock, appena mitigata dalle melodie di stampo battistiano e arricchita dalla crescente moda progressive, che scelsero di cavalcare in pieno.

E alla fine, quando fu l'ora di riversare quell'inaudita energia su disco, le canzoni erano pronte: quattro di Battisti, una persino dei fratelli Bennato - che proprio allora cominciavano a muovere i primi passi - e altre due cover. Loro ci misero il suono, e la novità fu chiara quando uscì l'album.

Per capire di cosa parlo basta ascoltare la title track: echi dei King Crimson di "Larks' Tongues in Aspic" (che sarà pubblicato tre anni dopo), bordate chitarristiche che si intrecciano alle atmosfere tetre imbastite dall'Hammond di Lorenzi, Tony Cicco che è il più indiavolato di tutti e lo sarà per tutto il disco. In un colpo vengono rivisitati e rivoltati con sfacciataggine i cavalli affermati Non è Francesca, Questo Folle Sentimento e Sole Giallo Sole Nero, quest'ultima con una lunga cosa strumentale nel finale. I classici del cantante capellone che tutta la nazione ammira non ci sono più, stravolti dalla foga di tre ragazzi che guardano al suono duro d'oltremanica come a un modello da seguire, quando non lo fanno per cantare un facile riempitivo come Walk Away Renee. Ma capeggia in tutto il disco un'atmosfera speciale, una strana miscela di hard prog e canzonetta italiana. Era appena l'inizio, il primo capitolo per un gruppo che si perse presto per strada, e che diede molto meno di quanto avrebbe potuto.

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