Carissimi debaseriani, dopo la tempesta di commenti scatenata dalla mia recensione di 'Via Paolo Fabbri 43' ho deciso di provare ad essere più buono, tant'è che avevo in programma un'altra bocciatura, allora ho cambiato disco.

'Amerigo', 1976, è la riflessione di Guccini sull'America. Un po' di biografia non fa mai male: mi pare che Guccini visse e lavorò in America più o meno nel periodo successivo ai suoi primi due LP, qui ebbe una storia d'amore che ha avuto diversi echi nella sua produzione, so che Guccini ha insegnato in un college americano ma non so se è successo nello stesso periodo di questo suo primo viaggio, né per quale motivo si fosse spostato, fatto sta che in questo album fa suo un argomento molto forte e presente per la sua generazione. L'America splende nei ricordi dei nostri nonni, la terra dalla quale erano arrivati gli alleati, e avevano portato il rock 'n' roll e i blue jeans, la terra della redenzione, dove tutti potevano, contando solo su se stessi, diventare ricchi, o almeno affermarsi, ed in un certo senso in America funzionava davvero così. Per i migranti fu 'lavoro e sangue, fatica uguale mattina e sera', ma fu anche una grande possibiltà, ancora oggi la comunità italiana in America è molto numerosa.

De Gregori, mi pare nello stesso anno, aveva stampato 'Bufalo Bill', l'enigmatico LP dall'analogo tema. In Guccini l'America è poco più di un pretesto, e questo LP può essere considerato il resoconto di quell'esperienza, il confronto tra l'immagine ideale della Terra Promessa, e la realtà vissuta da lui, come anni prima da suo zio, emigrante, ed infine dai due insieme, nella title-track, che è una sintesi delle due esperienze, l'una confluente nell'altra in cui Guccini rivede se stesso nella sete di viaggio, nel sogno dello zio, nei suoi gesti prima di partire, nel coraggio immenso, ma anche nella sconfitta, nel tornare invecchiato e povero, battuto dalla realtà e la sua durezza. La vita come sconfitta esistenziale, come lotta contro un mulino a vento e urla contro un muro, è un'idea già chiara in Guccini, tuttavia questo esperimento transoceanico è simpatico e offre spunti per ottimi brani.

Tra questi preferisco la title-track, che spesso Guccini ricorda come uno dei suoi brani più importanti e riusciti, in un caso addirittura affida la 'filosofia' della sua produzione alla sintesi di questo brano ed a 'La locomotiva', come due facce della sua espressione, della sua rivolta prima di tutto interiore e per questo umana, prima che collettiva, almeno per me, che per questo fatico a riconoscere l'importanza di un brano come 'La locomotiva' mentre trovo in 'Amerigo' un brano significativo proprio perché a modo suo intimista, ruvido ma dolce, triste ma di sdegno.

A parte qualche episodio (specie 'Mondo nuovo', che sembra quasi aggiunta a cose fatte), diciamolo, in questo LP troviamo molti dei nostri brani preferiti. Tra le due storie 'quasi' d'amore, cioè '100 Pennsylvania Ave' ed 'Eskimo', entrambe molto autobiografiche, io preferisco la cupezza della prima, un brano di una semplicità estrema, parole usuali, immagini vivide, colorate, un brano che prende subito per la facilità di immedesimarsi, un brano un po' atipico per Guccini, ma straordinariamente malinconico e dolce, che dà una stretta al cuore già nei primi versi, quando vediamo Guccini partire, affrontare l'America tenendo per mano il suo amore, e vedere le strade scorrergli accanto e ad ogni passo lasciarsi indietro, sempre più lontana, la strada di casa ed il passato, per un futuro tutto da immaginare e da sognare.

"La strada della Pennsylvania Station

sembrava attraversasse il Continente

come se non tornasse più all'indietro

ma andasse sempre avanti, ad Occidente

tra tombe in ferro vetro

pianura, pali e gente..."

questa è proprio la prima strofa. La seconda, ahimè, attacca proprio con lo struggente

"E indietro invece, e in fretta, ci tornai..."

Che dire?! Vengono giù i lacrimoni, grazie 'Maestrone'! 

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