"Pinocchio non c'è più, Pinocchio non c'è più, Pinocchio non c'è più, Pinocchio non c'è più..."

Addentrarsi nella disanima di un film di questo tipo non è impresa facile. E' opportuno parlare della sua genesi in modo quanto più dettagliato. "OcchioPinocchio" è il film che ha rovinato Francesco Nuti, artisticamente ed umanamente. Cosa può essere successo per arrivare a tanto?

Facciamo un passo indietro.

Anni 80. Nuti, affrancatosi del gruppo comico dei Giancattivi (composto, oltre che da lui, da Alessandro Benvenuti e Athina Cenci), intraprende la carriera "solista" recitando in tre film di Maurizio Ponzi. Successo immediato: milioni di biglietti strappati, David di Donatello e Nastri d'Argento. Passato alla regia regala al suo grande pubblico altre opere di grande eco, da "Caruso Paskoski (di padre polacco)" a "Donne con gonne". Trattasi di commedie sentimentali che lasciano intravedere sullo sfondo la figura di un attore sì comico ma capace di offrire punte d'amarezza e candore inusuali (almeno nei personaggi che interpreta. A giudicare da certe sue uscite è difficile immaginarsi Nuti-persona come candido).

1992. Reduce dall'ultimo successo al botteghino, decide di dare vita al progetto che, a detta sua, gli permetterebbe di fare il cosiddetto "salto di qualità". Una storia che non lo fa dormire da anni, quasi una vera ossessione. Il film si chiama "OcchioPinocchio", una rilettura personale della fiaba di Collodi ambientata ai giorni nostri, scritta assieme a Ugo Chiti e Giovanni Veronesi. Ma Nuti non si accontenta di girare il film nei modi come ha sempre fatto. Il budget messo a disposizione da Mario e Vittorio Cecchi Gori è di ben 13 miliardi di lire! Uno sforzo produttivo notevole per un film italiano. Nel luglio '93 la troupe parte alla volta dell'America (precisamente in Texas e in Louisiana) per dare inizio alle riprese.

Nelle intenzioni sarebbe dovuto essere pronto (post-produzione compresa) nel Natale dello stesso anno. Invece a novembre non si sono ancora concluse le riprese. Mario Cecchi Gori muore proprio in quel periodo. Il figlio Vittorio, rimasto solo, è nel frattempo preda delle megalomani richieste del regista-attore. Il costo del film aumenta inaspettatamente dai 13 miliardi previsti ai 25-30 finali e con la Penta Distribuzione di Berlusconi i rapporti si incrinano. Inviperito, fa smantellare i set e tutti a casa. In risposta a ciò, Nuti intraprende un'azione legale nei confronti del produttore per ottenere la ripresa della lavorazione, pena risarcimento danni. I due trovano un accordo: si procederà al montaggio delle scene girate per poi riprendere le riprese delle restanti nella primavera del '94.

Ciononostante i problemi continuano, il film viene interrotto altre due volte e Nuti minaccia di lasciare il cinema. Sarà proprio lui a mettere due miliardi di tasca sua per far sì che le riprese si concludano a Ottobre '94, dopo ben un anno e mezzo. Un primo montaggio da 180 minuti viene cestinato dalla produzione che ne riduce la lunghezza a 138 (la versione in Dvd che ho visionato è di 125 min). Si vocifera che nel pre-cut fossero presenti vere e proprie scene da musical. Questo il tormentato iter.

Questa invece la trama del film: Brando Della Valle (Joss Ackland) è un anziano banchiere italo-americano che in seguito alla morte del fratello scopre di avere un figlio illegittimo ricoverato in un ospizio toscano. Costui (Francesco Nuti) è un uomo semi-ritardato soprannominato Pinocchio. Decide di andarlo a prendere con lo scopo di farne il suo erede ma, una volta in America, Pinocchio (nel frattempo ribattezzato Leonardo) scappa e si imbatte in Lucy Light (Chiara Caselli), una pericolosa fuorilegge sospettata d'omicidio e braccata dalla polizia.

Dopo un inizio anomalo, sospeso in un atmosfera gotico-barocca in alcuni punti di matrice Burtoniana, il lungometraggio si trasforma in una specie di road movie farcito da inseguimenti, sparatorie e altri topoi da cinema americano, lasciando poco spazio a siparietti divertenti, lecito com'era aspettarsi da uno come Nuti che, in questo caso, si trova a spersonalizzare la sua cifra stilistica a favore di un'estetica roboante. Più che la storia, quello che non funziona è la tronfia regia: carrelli, dolly a manetta, false soggettive, panoramiche, morphing, inquadrature sbilenche, piani-sequenza inutili. Per non parlare del montaggio, in alcuni punti veramente sfasato (ma non una colpa imputabile al regista).

A mio avviso però si tratta di un'opera sottovalutata ed esageratamente stroncata senza pietà sia da critica che da pubblico. Le scene tra Pinocchio e Lucy esprimono purezza; nel finale ci si commuove nell'assistere al protagonista terribilmente scosso da un insensato omicidio, intento a scavare una fossa e poi a ripetere ossessivamente "Pinocchio non c'è più". Pinocchio, simbolo dell'ingenuità, del bene e della purezza viene ucciso per lasciare finalmente posto ad un uomo (non più bambino) alla ricerca della libertà, quella libertà che riuscirà ad ottenere oltrepassando l'agognato confine con una barca a remi. E poi camminare sull'ombra di un lunghissimo naso. Purtroppo il film arriva a malapena ad incassare 4 miliardi, mettendo praticamente fine alla carriera dell'attore toscano, da lì a poco destinato a sprofondare nell'oblio e in un vortice autodistruttivo fatto di depressione, droga, alcol, minacce di suicidio. Fino agli effetti di quel grave incidente del 2006 che tutti conosciamo. Quel "Pinocchio non c'è più" valeva forse quanto un inquietante "Francesco Nuti non c'è più", letto col senno di poi. Tristemente ha mantenuto la sua inconscia promessa. Adesso per fortuna possiamo dire solo in parte.

Film imperfetto ma da rivalutare.

Voto: 2,5/5

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