"Parlami dell'esistenza, di mondi lontanissimi... ", cioè, parlami di Battiato.

L'esile cantautore siciliano dalla voce monacale, cala l'asso e raddoppia, anzi, si perfeziona. Dopo il grande successo ottenuto da "La voce del padrone" (quasi un milione le copie vendute) e dopo due inserti non propriamente riusciti ("L'arca di Noé" e "Orizzonti perduti") Battiato tenta la difficile strada della musica fantascientifico-colta. E così, dopo le avventure di "gesuiti, euclidei" e "serenate all'istituto magistrale" ecco i suoni mistici e profondi della Galassia: un viaggio misterioso e oscuro, difficile e trascendentale, una sorta di rivisitazione moderna della "Commedia" dantesca (chiari i riferimenti all'Inferno) e le angoscie kubrickiane di "2001: Odissea nello spazio" (le famose "Avanguardie di un altro sistema solare").

È un Battiato rinnovato, sicuramente meno sereno, o forse semplicemente più introspettivo. Un disco che risente tantissimo delle esperienze musicali della cosiddetta "world-music" anni Ottanta: musiche quasi mai orecchiabili, pochi momenti di ampio respiro musicale, una dose considerevole di digitalizzazione (chiarissima in "No time no space"), ma la forza di Battiato è un altra, quella di allontanarsi dalla musica popolare italiana, spingersi versi suoni e atmosfere più American Style, e questo non è un discorsetto vizioso o banale visto che, proprio in quel periodo, la massa elogiava, come massimo punto d'arrivo musicale, Albano e Miguel Bosé. Certo, qualche anno prima Battisti aveva già provato a registrare qualcosa di meno italiano, ma gli era venuto fuori "E già", non propriamente un capolavoro. Qua e là, qualche cantautore di nicchia, tentava di diversificare l'offerta musicale italiana (si veda ad esempio Faust'o, con risultati però scarsini), e il grande merito di Battiato fu dunque quello di rinnovare certe tendenze popolari tipiche del Belpaese e nel frattempo non venire considerato solo 'autore di nicchia' (certo, il grande successo de "La voce del padrone" era stato un più che ottimo trampolino di lancio).

Fra i brani migliori (ma qui la scelta è assolutamente personale e opinabile) sceglierei, a pelle, "No time no space", "L'animale" e "I treni di Tozeur". La prima è una bella rappresentazione dei misteri dell'Universo con sottofondi filosofici non indifferenti (bastano pochi versi a Battiato per costruire un atmosfera, indimenticabili quei "viaggiatori anomali in territori mistici"); la seconda è una delle più belle canzoni d'amore della storia della musica, riflessiva, autobiografica, personalissima, imitatissima, e d'altronde, con un testo di tale efficacia, era difficile sbagliare atmosfera ("Vivere non è difficile, potendo poi rinascere, cambierei un pò di cose, un pò di leggerezza e di stupidità" [. . . ] "Ma l'animale che mi porto dentro non mi fa vivere felice mai, si prende tutto, anche il caffè, mi rende schiavo delle mie passioni"), spunto, mai ufficializzato, per un successivo hit di Battiato, "La cura". "I treni di Tozeur" è semplicemente magnifica, metafore, assonanze, musiche a metà strada tra l'illusione e la realtà, un filo di luce si staglia nella Galassia "e per un istante ritorna la voglia di vivere a un'altra velocità". Questi i brani su cui vale la pena soffermarsi un pò di più, ma anche il resto non fa assolutamente una grinza.

Esemplare "Il re del mondo" in cui Battiato sfoggia tutta la propria personalissima vena cantautorial-misticheggiante (Echi di Danze Sufi, e già questo può bastare) e riesce, con dolcezza e malinconia, a parlarci di un qualcosa di pessimistico, di apocalittico, di finale, come dice espressamente a metà canzone ("Più diventa tutto inutile, e più credi che sia vero, il giorno della Fine, non ti servirà l'inglese"). Da segnalare anche le ottime "Via Lattea", "Risveglio di primavera", "Personal Computer" (quasi fantascienza per l'epoca!) e "Temporary Road". Un discorso a parte merita "Chanson Egocentrique" scatenato elettro-pop sospeso tra l'italiano, l'inglese e il francese. Un testo senza senso, folle e disordinato, eppure sorprendente (le metriche sono assolutamente esemplari) e, a tratti, persino divertente: "I remember prehistoric sound, was the time of the dinosaur age, oh, nein". E come al solito, immancabile, la citazione popolare anni Sessanta: questa volta tocca a Little Tony e al suo classico sanremese "Quando vedrai la mia ragazza".

A conti fatti, quando l'album finisce si rimane un pò delusi. Ma non per quello che abbiamo sentito (tutto bello, tutto eccellente) ma perchè ci sarebbe piaciuto continuare ad ascoltare la voce (e le storie) di Battiato. E non è un caso che, più che "La voce del padrone", fu "Mondi lontanissimi" il disco con cui Battiato aprirà la seconda fase della propria carriera: quella degli anni Novanta, del "Caffè de la Paix" e dei "Dieci stratagemmi".

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