Frankie Hi-NRG MC è senza dubbio uno dei personaggi più atipici del panorama musicale italiano, un intellettuale del rap (o prestato al rap) che non ha mai stretto evidenti legami con la scena hip-hop tricolore e ha ottenuto negli anni il consenso di un pubblico misto, eterogeneo, anche piuttosto lontano dal mondo della Doppia H.
Il successo di Verba Manent, disco sostanzialmente riuscito ma ancora molto legato ai centri sociali e al fenomeno delle posse, è dovuto proprio alla sua capacità di spaziare tra vari generi evitando ogni tipo di catalogazione, caratteristica del resto propria del rap di quel periodo, una forma espressiva ibrida, confusa e alla ricerca di una sua vera personalità (mi riferisco nello specifico alla situazione del Bel Paese).
Nel 1997, dopo aver pubblicato un paio di brani (“Cali di tensione” e la romantica “Fili”, costruita su un campionamento della famosissima “Questione di feeling”), Frankie sforna La morte dei miracoli, un lavoro che si distingue dal precedente per un’evoluzione del sound e una maggiore profondità nella scrittura dei testi. In altri termini, una decisa maturazione.
È difficile fare un paragone tra le due opere, concepite in periodi storici assai diversi, tuttavia se l’esordio si presentava battagliero nei toni ed estremamente vario dal punto di vista sonoro (si passava da arrangiamenti jazz funk a basi dal sapore breakbeat/hardcore), il capitolo successivo risulta più omogeneo e in parte privo di quell’ardore rivoluzionario che animava il debutto.
La morte dei miracoli è infatti un album disilluso, forse il più marcatamente hip-hop nella discografia di Francesco Di Gesù (sì, si chiama proprio così).
La collaborazione con un esponente di spicco della scena romana dell’epoca, vale a dire Ice One, influenza non solo la struttura complessiva del progetto, ma anche le produzioni un po’ oscure, in parte curate dall’ex beatmaker dei Colle der Fomento (le altre sono realizzate dallo stesso Frankie) e vicine a quello stile cupo e ossessivo già sperimentato in Odio pieno (a me fanno pensare, in aggiunta, ai contemporanei LP dei Cypress Hill e Psycho Realm).
Le atmosfere inquietanti sembrano essere al servizio delle liriche del protagonista, trasformatosi per l’occasione in un bizzarro monaco incappucciato, a metà strada tra Guglielmo da Baskerville e un profeta dell’apocalisse.
Questo cambiamento non è limitato al booklet del CD, ma riguarda gli argomenti e in generale l’approccio al rap dell’MC torinese.
L’attitudine combattiva alla “Fight da Faida” è meno presente, benché un pezzo come “Giù le mani da Caino” si scagli apertamente contro la pena di morte (“Tieni giù le mani da Caino/Sangue chiede sangue e tu rispondi al suo richiamo/Predichi giustizia e poi razzoli nel crimine/Arbitro venduto che dispone della vita di un suo simile”). Viceversa non mancano momenti esistenzialisti, riflessivi, dove il taglio letterario della scrittura ricorda la prosa di Jean-Paul Sartre, Albert Camus e Elias Canetti (difficile non pensare al libro dell’autore bulgaro quando parte l’angosciante “Autodafè”, sebbene il rapper abbia negato un suo influsso diretto).
Il mutamento non risparmia l’aspetto formale: parallelamente alla diminuzione dei bpm e all’incupirsi dei beat, le rime diventano più calme, meno concitate, a tratti simili a un monologo (l’acuta critica alla televisione di “Accendimi…”, dove a parlare è il noto elettrodomestico, colpevole di spegnere la mente e anestetizzare le nostre coscienze), a una confessione o allo spoken word. Una scelta coraggiosa, che a distanza di decenni trovo alquanto azzeccata.
Finora non ho accennato a “Quelli che benpensano”, poiché è oggettivamente difficile descrivere una canzone che è entrata a pieno titolo nella storia della musica italiana. La produzione noir e un po’ minimale di Ice One (che per l’occasione “ruba” i giradischi a DJ Stile e lo sostituisce agli scratch) si fonde alla perfezione con la voce di Frankie, misurata e tagliente al tempo stesso. Il testo è perfetto, un’accusa alle ipocrisie di quei perbenisti che sfoggiano una maschera in pubblico e nel privato coltivano vizi, odio, razzismo e mediocrità (“Sono tanti, arroganti coi più deboli, zerbini coi potenti/Sono replicanti, sono tutti identici, guardali/Stanno dietro a maschere e non li puoi distinguere”). Da segnalare il bellissimo video diretto dai Manetti Bros. e il ritornello cantato dal bravo Riccardo Sinigallia, cantautore romano che avrebbe meritato più fortuna nel corso della sua carriera.
Le sorprese non finiscono certo qui. Nella ricca scaletta, composta da quattordici tracce, trovano spazio alcuni skit collocati tra un brano e l’altro, dai caratteri enigmatici (“Cubetti tricolori”) oppure distopici (i deliri fantascientifici di “Manovra a tenaglia”). E non è tutto: nella riedizione del 1998 ci sono due remix di “Quelli che benpensano” e altrettanti di “Autodafè”, realizzati dai già citati DJ Stile e Ice One (notevole il suo lavoro sul primo pezzo, che acquista potenza grazie a un connubio eccellente tra synth minacciosi e archi campionati). Senza dimenticare la ghost track, un’ulteriore rielaborazione de “La cattura”.
Questa particolare abbondanza sottolinea, purtroppo, il principale difetto de La morte dei miracoli. Facendo bene i conti, tra intro, outro, interludi e bonus track rimangono otto canzoni, un bottino abbastanza magro dopo un’attesa così lunga e sintomo di una parsimonia compositiva che pregiudicherà le successive fatiche discografiche. Inoltre l’ombrosità delle musiche, unita ai temi importanti, rischia di appesantire eccessivamente l’ascolto, senza che ciò sfoci nella noia o in un evidente fastidio (almeno nel mio caso).
Escludendo queste piccole pecche, la seconda prova di Frankie Hi-NRG MC raggiunge decisamente i suoi obiettivi e può essere inserita tra le più significative del rap italiano di fine millennio.
Siamo di fronte a un’opera al passo con i tempi, premiata da ottime vendite (oltre centocinquantamila copie) e poco importa se l’artista piemontese non si ripeterà in futuro, perché La morte dei miracoli resta un album pregevole, che ogni appassionato di hip-hop e buona musica dovrebbe possedere nella sua collezione.
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