“Il tuo ricordo è una strada piena di luce una cometa luminosa mi segue sempre ovunque vada sempre ora che non ci sei più credo ancora di averti vicina e torno ogni sera dove tu stringevi la mia mano e il tuo viso è una sera piena di ombre in ricordo dei tuoi passi mi segue sempre ovunque vada sempre ora che non ci sei più io desidero silenzi infiniti silenzi infiniti deserti.”

Shadows of the Colossus è un videogioco uscito nel 2005 per playstation 2, sviluppato da Team Ico di genere avventura, a tratti d’azione, prepotentemente rompicapo.
Dopo una riedizione per Playstation 3, nel 2018 è stato pubblicato un remake per Playstation 4 con un motore grafico migliorato.
La trama è abbastanza semplice, vestiremo i panni di Wander (errante in inglese), un giovane ragazzo che ha l’obbiettivo di riportare in vita la sua amata Mono, morta per via di un “destino maledetto”. Gli verrà detto che aldilà del ponte del cielo, nelle terre proibite fatte di morte e solitudine, vi è una possibilità di riportarla in vita, previo però un immane sforzo e sacrificio, fisico e spirituale. Dopo aver attraversato lo sconfinato colonnato di pietra con il suo fedele destriero Agro, si reca in un gigantesco tempio, il Sacrario del Culto, dove all’interno sono presenti 16 statue rappresentanti idoli, e in fondo, nell’unico segmento illuminato dell’umbratile stanza, si erge un piccolo altare impolverato dove verrà adagiata la candida e pura Mono che risplenderà grazie a lucernario posto sul tetto. Proprio da quella fenditura e da quella luce uscirà fuori la voce di Dormir, un’entità divina dal timbro androgino. Wander supplicando si rivolgerà proprio a lui/lei affermando di aver sentito tramite diverse leggende che il Divino fosse capace di ridare la vita ai morti. Dormir vedendo brandita l’antica spada, asseconda il ragazzo, affermando esserci una possibilità, rappresentata dalla distruzione di tutti e sedici gli idoli presenti nella sala, l’unico modo sarà quello uccidere l’incarnazione di ogni statua. Poco prima di partire Dormin mette in guardia Wander affermando che così facendo potrebbe pentirsene. Il giovane ormai accolito del Verbo, inquieto e paciugato della sua ossessione come solo i proseliti sono…accetta senza indugio, affermando che non vi è nulla di più importante di ridare vita al proprio sentimento. Così facendo parte e ritorna, parte e ritorna, parte e ritorna, parte e ritorna, parte e ritorna, parte e ritorna, parte e ritorna, parte e ritorna, parte e ritorna, parte e ritorna parte e ritorna parte e ritorna parte e ritorna parte e ritorna parte e ritorna parte e ritorna, ritorna.

I dettagli narrativi rarefatti saranno risicati durante tutto il susseguirsi della campagna, con pochissimi dialoghi, spiegazioni, flashback e rare allucinazioni, lasciando quindi tutto all’interpretazione del singolo giocatore.

Sul versante ludico il gioco non si discosta molto dall’originale: lineare e poco variegato nel sistema di combattimento, con un set di mosse praticamente singolare fatto solo di fendente e dritto (pressocché inutile) per la spada dove i movimenti di Wander spesso meccanici, inficiano sulla fluidità dei comandi che risultano nelle parti più concitate di gioco limitati e limitanti, per questo frustranti, soprattutto quando siamo aggrappati al manto dei colossi o quando dobbiamo saltare da una piattaforma all’altra.
È durante questi momenti che la colonna sonora prende il sopravvento, dettando il ritmo e i tempi di ogni scontro, con esecuzioni orchestrali imponenti che sembrerebbero l’unico degno antagonista dei giganti. Quest’ultimi aldilà di quanto si possa pensare circa lo scontro impari con il protagonista e il suo modesto armamentario, non saranno altro che dei grandissimi enigmi ambientali, fatti di attese e furbizie. La maggior parte di questi 16 idoli presenteranno forme e meccaniche d’atteggiamento diverse, lotteremo infatti in cripte sotterranee, in cielo ed anche in mare, non sottovalutando mai tutti gli elementi che ci circondano, alcune volte avremo bisogno del nostro fedele Argo per scappare più velocemente e in altre situazioni invece dell’arco e le frecce per richiamare l’attenzione dei nemici o indebolirli leggermente.

Il nuovo motore grafico inoltre aumenta esponenzialmente l’immersione ludica mantenendo l’atmosfera malinconica e sfuggente, epica e fiabesca, inficiando però sulla fantasia che dilagava nelle menti di ogni giocatore durante i primi anni 2000. La nuova resa visiva, infatti, dipana molti punti interrogativi che ammantavano la precedente versione, piena di speculazioni portatrici di miti e credenze che circolavano poi nel mondo reale come se fosse tutto un mistero.

Durante il nostro percorso la nostra unica guida in queste terre sconfinate, oltre le parole enigmatiche iniziali di Dormin all’inizio di ogni colosso, sarà la nostra spada, che riflettendo i raggi del sole ci indicherà la strada da percorrere. I riflessi ovviamente si basano sull’intensità della luce, qualora ci trovassimo in zone di penombra l’effetto sarà smunto e fioco tanto da trarci spesso in inganno. In viaggio nessuno mai proferirà parola o pensiero, grideremo solo il nome di Agro qualora ne avessimo di bisogno, non ci saranno musiche ma solo il rumore dei suoi zoccoli, ogni tragitto sembrerà infinito nel vuoto della mappa (scelto più per limiti tecnici che narrativi a prima vista). Saranno presenti degli altari dove poter pregare e pochi alberi dalle grandi fronde -o chiome- con frutti magici capaci di aumentare la nostra salute, quasi a richiamare l’albero della conoscenza del Bene e del Male. Wander però non conosce limiti che non siano imposti dalla sua volontà, e in questa crociata contro l’impossibile nei confronti di montagne semoventi lui si pone quindi al di sopra di bestie, uomini e finanche Dei. In questa ambivalenza dissacrante dell’immenso che lo circonda l’unico suo credo è la singola missione.

Di riferimenti biblici e mitologici il gioco ne è pieno: il principale è di certo Dormin corrispondente al contrario di Nimrod, figlio di Noè, primo tra gli uomini a creare un regno (terra di Nimrod) con al centro di tutto Babele e la sua torre (Sacrario del Culto), avente l’obbiettivo di sfidare Dio toccando e superando il cielo. Lo stesso Dante nella Divina Commedia cita ed incolpa Nimrod per aver causato “la confusione delle lingue” spedendolo all’inferno e punendolo con l’incomunicabilità, parlando un linguaggio comprensibile solo a lui infliggendogli inoltre le fattezze di un gigante.

Proprio per questo all’interno della storia tutti i personaggi, umani ed entità mistiche comprese parleranno una lingua sconosciuta ed inventata.

Un altro piccolo richiamo invece si rifà ad Agro, anagramma di Argo, il fedelissimo amico di Ulisse, che come il nostro destriero, rappresenterà la fiducia incondizionata nei confronti del suo compagno. Inoltre, il nostro corsiero dal lucido nero manto sarà un personaggio senziente a tutti gli effetti, estrapolato dal mero automa di guida. Noi possiamo solo tirare o allentare le redini, ma sarà lui stesso a fermarsi qualora non volesse proseguire in asperità a lui poco convenevoli… impossibile forzarne il passo nel costante andirivieni.

Le Lande Proibite sono questo, un suggestivo peregrinare tra sacro e profano, con preghiere -o blasfemie- in suffragio delle proprie condanne e speranze, per sé stessi e per l’altra persona. Non rimangono che sparuti altari dismessi ma inviolati tra canyon, falesie, cascate, deserti, brulle praterie, volontà, sterpaglie, e roccia e marmo e scarpate, fiumi, sudore, grotte, faglie, acqua, sabbia, fango ed edifici di civiltà abbandonate e roccia e marmo e boschi e oceani, torbiere, sangue, calanchi, falde, crepacci e ghiaia e terra e deserto e roccia e deserto e macerie, e anse, pietra, dune, coste e macerie e gas, e vento polvere e deserto, deserto e macerie, deserto e rovine, deserti e deserto, deserto, deserto, deserto e deserto, deserto.

<<Alcune montagne vanno scalate; altre vanno uccise>> affermava la locandina, altri dicevano che bastava sognarle per poterle muovere. Io dico che alle volte bisogna solo limitarsi ad accettarle.

Non importa l’andatura: che sia trotto, passo o galoppo, con il vento nel culo del cavallo si vola, accompagnati da falchi e colombe, struggendo altezze fatte di cirri e sfiorando cumuli di sabbia, librati sopra infiniti ponti di marmo e pietra, scalando ombre invalicabili della propria anima e guidati dall’unica luce benevola di Mono… io penso a quella canzone, a quelle parole e sono certo che le avrebbe pensate anche Wander.

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