Piove, e contemporaneamente grandinano note sicuramente sublimi dalla Les Paul di Gary in questa bellissima foto di un suo concerto all’aperto, disturbato dal maltempo. Il suo ghigno che s’intravede sotto il cespuglio di capelli ancor folti è l’ideale per tenersi un ricordo di questo splendido chitarrista e bluesman, che ci ha lasciato qualche anno dopo quest’ultimo disco, datato 2008.

Trattasi dell’ennesimo, acceso album di vigoroso rock blues, con l’accento sul blues. Undici canzoni, di cui sette scritte da lui, più due cover di Muddy Waters ed una a testa fra J.B. Lenoir e Al Kooper. La composizione del gruppo che lo accompagna è quella rivelatasi ideale per lui nel corso degli anni: basso, batteria e organo. Con sporadici rinforzi, tipo la famiglia Taylor, Otis al banjo e sua figlia (e bassista) Cassie ai cori).

I contributi scritti da Gary sono nitidi, ben costruiti, inzuppati di tutte le influenze possibili assorbite sin da ragazzino, le quali zompano fuori a turno e gli permettono di forgiare un blues che è di tutti e di nessuno di loro. Qualche nome? Peter Green, Willie Dixon, B.B.King, Albert King, Jimi Hendrix, Jeff Beck, Jimmy Page, Albert Collins…).

Lui poi vi aggiunge la sua impronta a cominciare dalla voce, sincera e grintosa oppure malinconica e ferita, negli episodi più quieti. E poi la sua chitarra, palluta a dir poco, torrenziale nei rock e nei boogie “svelti” per poi trasformarsi in un lamento incredibilmente comunicativo, strapieno di sfumature, quando l’andamento è slow e l’urgenza è di lamentarsi su qualche disavventura amorosa.

Questo lavoro di commiato del grande Moore è piuttosto povero di veri numeri in tempo lento: giusto un paio di slow blues, a cominciare da “Did You Ever Feel Lonely”, tradizionalissimo nella struttura ma sempre un piacere all’ascolto grazie al chitarrismo top sfoggiato. E poi il conclusivo “Trouble Ain’t Far Behind”, ancor più lento, dove vien fatta ancora una volta cantare la vecchia Gibson, in una maniera che solo lui ne era capace, tranquilla e ispirata.

L’episodio che trovo più brillante è il mid-tempo “Preacher Man Blues”, un ipnotico boogie in cui il nostro ci dà dentro soprattutto con l’armonica, diversificando un poco la proposta. Certo gli ultimi tre, quattro dischi di carriera di Moore prima del suo precoce decesso assomigliano parecchio gli uni agli altri: le diversificazioni e gli esperimenti sono finiti, nonché i supergruppi a trio una tantum (mi riferisco a BBM e Scars). Vi si fa del blues tradizionalista, ma forte e potente e questo è l’ambito dove il compianto nord irlandese ci manca veramente. Perché era il migliore, in queste cose.

Elenco tracce e video

01   Bad for You Baby (02:54)

02   Down the Line (02:55)

03   Umbrella Man (03:36)

04   Holding On (03:45)

05   Walkin' Thru the Park (02:58)

06   I Love You More Than You'll Ever Know (10:34)

07   Mojo Boogie (03:34)

08   Someday Baby (03:35)

09   Did You Ever Feel Lonely? (06:10)

10   Preacher Man Blues (05:53)

11   Trouble Ain't Far Behind (09:35)

12   Picture on the Wall (03:58)

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