Raccolta in questo titolo del suo album del 2006 vi è la dimensione musicale di Gary Moore. Quello adulto beninteso, ché il Moore giovanile era invece passato attraverso tante diverse fasi tra progressive, fusion, hard e class rock… e ne dimentico qualcuna. L’Old del titolo rappresenta le sue cover dei maestri, neri, anni cinquanta e sessanta, più quelle dei loro primi “revisori” bianchi a partire dai sessanta (Peter Green su tutti).
Il New vale per le sue proprie composizioni, oscillanti fra muscolari rock blues, lunghe e malinconiche ballate sull’abbandono, stellari strumentali dove è la chitarra a cantare, incontrastata. Ballads Blues infine sono appunto i due stili fra cui oscillano le composizioni del chitarrista.
Lo schema è il più classico dei dischi di Gary: dieci pezzi a base blues, fra cui tre cover. Di leggermente diverso dal menù più tipico vi è solo la presenza di un insolito numero di brani lenti, la metà del totale se non di più.
Mettiamo in fila questi ultimi: c’è “You Know My Love” del maestro Dixon, quasi un mid tempo, classicissima, ma la chitarra di Moore in forma smagliante nobilita la parte centrale della canzone, lanciandosi in animose escursioni sulla tastiera. In “I’ll Play the Blues” si va avanti per tre minuti con solo voce e piano elettrico; la chitarra arriva a metà strada, tranquilla e àge, di classe.
“No Reason to Cry” è poco poco meno blues, quasi a ballata. Pur a ritmo lento, Moore decide di far sanguinare la sua Fender lanciandosi in nerboruti, scazzottanti assoli, un piacere per le orecchie e per lo stomaco. Una fatica che l’artista si risparmia su “Flesh and Blood”, stavolta una vera e propria ballata, quasi a ninna nanna; testo semplice, effetti avvolgenti di leslie sugli arpeggi… una meraviglia. L’ennesimo blues lento, ingentilito dal tappetino d’organo di Don Airey, si chiama invece “Gonna Rain Today”.
Fra gli episodi mossi abbiamo “Cut It Out”, uno strumentale in medio tempo con il solito vezzo impagabile di maltrattare crudemente la sua Fender: la violenza delle pennate è assoluta, l’ondeggiamento dei vibrati inesauribile e appagante. Poi vi è “All Your Love”, quella di Otis Rush un mancino del Mississippi che ha insegnato a molti come si fa.
“Ain’t Nobody” è la più “commerciale”, un rock blues abbastanza scontato ma la solista che abbaia nei break non lo è, spumeggiante ed efficace come nessun’altra. “Midnight Blues” è quello che annuncia il titolo: un blues notturno vellutato e caldo, la Gibson che prima sbocconcella licks intorno alla voce, poi viene lasciata sola a dipingere, quietamente. “Done Somebody Wrong” infine è il festival del pedale wha wha, un blues di Elmore James cadenzato e sincopato sul quale evoluisce il ditale slide del protagonista, impegnato smerigliare a dovere l’acciaio bronzeato delle sei corde.
Vado a periodi con Moore… e quando mi ci rimmergo, penso che i grandi amori non finiscono mai, e che mi manca molto. Gary tutto sul blues… che ve lo scrivo a fare: *****.
Elenco e tracce
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