Per fortuna esistono dischi capaci di farti correre i brividi lungo la schiena. Per il novanta per cento delle volte sono dischi che hanno venduto poco o niente. Li scovi seguendo flebili tracce, proprio come uno stalker che si avvicina alla zona proibita.

Ad esempio, quelle lasciate da un giovane androgino che aveva tentato la fortuna artistica nell'Irlanda che sarebbe stata patria benevola per gli amici d'infanzia Bono e The Edge. Ma i Virgin Prunes erano troppo strani e originali per avere successo e ...se dovevano morire, sono morti (...If I Die, I Die). Però il talento di Gavin Friday non era cosa da lasciar cadere nel dimenticatoio e quando nel 1989 si presenta con il primo lavoro solista, il cacciatore di tracce sa che è sulla buona strada. Le speranze, le illusioni, le aspirazioni di musicista stanno quasi sempre nel suo primo sforzo e questo disco le riflette tutte. A cominciare dalla scelta della copertina affogata nei colori seppia della fotografia di Anton Corbijn (già, proprio lui): Gavin si appoggia al pianoforte del partner The Man Seezer (Maurice Roycroft) mentre una coppia nuda balla abbracciata.  E' un disco di sentimenti, quelli forti, quelli veri che solo un'atmosfera fumosa di locali notturni affogati nelle sentine del vizio è capace di rendere epocali. E chi meglio di un produttore come Hal Willner, che nei suoi dischi dedicati a personaggi come Kurt Weill ha dimostrato un tocco magico per le ambientazioni bohemienne.

Le tracce da seguire diventano sempre più nitide: la chitarra liquida di Bill Frisell e quella obliqua di Marc Ribot, il basso di Fernando Saunders reduce dalla band di Lou Reed, la batteria di Michael Blair direttamente dalla combriccola di Tom Waits. Indizi sufficienti per pensare di avere tra le mani qualcosa di buono e sorprendentemente lontano dai giorni visionari delle prugne vergini.

Non mi va di parlarne troppo perché a volte queste canzoni rasentano il personale, come la splendida "You Take Away the Sun". Se vi resta ancora qualche brandello di cuore forse è sufficiente per lasciarsi avvolgere dalla virile malinconia che voce e viola fanno esplodere in un crescendo che lascia storditi: " ...there was a time when yesterdays were just tomorrows and now time ...time has taken". E' il cuore che rivela, ("Tell Tale Heart"), che sussurra storie sospese in un alone di nebbia tra la luce e il buio, danzando sul morbido tappeto sonoro imbastito da musicisti d'eccezione per far risaltare le capacità interpretative di Gavin Friday. Altrove le atmosfere sono dettate dagli strumenti dei due straordinari e mai invadenti chitarristi per dipingere un altro affresco ("Dazzle and Delight") che lascia a bocca aperta "...here comes that sinking feeling, pay your cash for a new disease, kiss this beast, fall in love with the greatest of these".

Le liquide note di Frisell stavolta aprono uno spiraglio verso la grande canzone di stampo americano (il disco è registrato a New York): "...ha avuto quello che voleva ma ha perso quello che aveva" è il refrain di "He got what he wanted", e la bellezza del brano rende ancora più difficile decidere quale preferire in questo disco perfetto. Lungo i solchi dell'album Friday mostra anche i muscoli, come nel glam rock di "Men of Misfortune", sospeso tra il Bowie lezioso e la sostanza di Lou Reed. Oppure nella marcetta tremendamente waitsiana di "Rags to Riches".

E la produzione di Willner si fa sentire nelle atmosfere cabarettistiche della title track tratta dal poema "The Ballad of Reading Gaol" di Oscar Wilde. "Ogni uomo uccide ciò che ama" cantava freddamente Jeanne Moreau in "Querelle de Brest" di Fassbinder, mentre Gavin riesce a renderla ricca di colori e sfumature aiutato dallo splendido gruppo che lo accompagna. Anche "Next" di Jacques Brel diventa un excursus mittleuropeo tra i locali fumosi, ma lo spirito del santo bevitore Tom Waits vagante per il Tropicana Hotel di West Hollywood non è poi tanto lontano. E neppure è distante il Nick Cave della dylaniana "The Death is not the End", appena sette anni separano la sua versione da quella di Gavin Friday ma la grancassa da Salvation Army e le electronics di Hank Williams ne danno un'immagine ancora più convincente del duetto che il Re Inchiostro imbastisce con Kyle Minogue.

Mi accorgo di aver parlato più di quanto mi ero proposto, ma con un disco che termina tra le lancinanti note della chitarra di Marc Ribot e l'intensa interpretazione di Gavin Friday per un brano come "Another Blow on the Bruise", è difficile che il cuore non  sia rivelatore e non si metta a raccontare storie.

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