E' stato innamoramento immediato con questo disco. Mi ha incollato al divano dalla prima all'ultima nota, come pochi lavori ultimamente sono riusciti a fare. E quei pochi spesso si sono persi nell'avidità dei miei ascolti. Eppure gli ingredienti per scartarlo a priori c'erano tutti. Il nome del gruppo per esempio. Gazpacho. Non solo un pessimo risultato fonetico, ma anche e soprattutto l'unico ricordo negativo di un recente viaggio. E poi diciamocelo, un gruppo norvegese che si sceglie un monicker di questo tipo non è normale. Per non parlare del titolo stesso dell'opera, “Tick Tock”, talmente banale da risultare quasi fastidioso. Ancora mi stupisco della mia perseveranza. I giudizi che avevo letto o sentito però mi suggerivano di resistere a questi primi sintomi di intolleranza. A ragione.  

“Tick Tock” è infatti un viaggio emozionale, dalle tinte altamente cinematografiche, e che infatti sviluppa il proprio concept prendendo ispirazione dal libro “Terre des hommes ”. Le memorie dell'aviatore francese Antoine de Saint-Exupéry e del suo atterraggio di fortuna nel Sahara prendono qui una nuova forma. Immagini e suoni ci trasportano nella vastità del deserto. Quel deserto che sembra sempre e solo uguale a sé stesso, privo di aspettative. Dove le superfici si perdono e le forme cambiano lentamente. Così è la musica, intrisa di anestetizzanti umori psichedelici, ad alternare viscerali impasti melodici a suadenti bonacce strumentali. Una malinconia di fondo che ti entra sottopelle e accompagna questa disperata marcia, tra la sabbia sferzata dal vento e i nostri sogni in dissolvenza. Dall'atipica ed elettrica opener “Desert Flight” fino al pop malinconico della conclusiva “Winter is Never”, il gruppo mette in mostra il proprio invidiabile estro compositivo. Una formula non certo innovativa, ma senz'altro personale, che pesca dal neo-progressive degli amati Marillion dell'era Hogarth per portarli in territori più sperimentali in stile Porcupine Tree e ultimi Anathema. Chitarre spesso morbide e sinuose, che sanno però incendiarsi all'occorrenza o abbandonarsi con disinvoltura ad inaspettati tocchi esotici. Tutto si muove intorno ai paesaggi crepuscolari dipinti dalle tastiere, tra synth eterei, mellotron e campionamenti elettronici, contrappuntati ora dal piano ora da uno straziante violino. A suggellare il tutto la voce perfetta di Jan-Henrik Ohme, a proprio agio in ogni zona dello spettro e dotata di un'espressività fuori dal comune. Il ticchettio dell'orologio si spegne lentamente, lasciandoci una volta ancora in solitudine, in balia dei nostri pensieri. E' sempre più difficile emozionarsi al giorno d'oggi, ma per fortuna esiste l'arte a proteggerci dalla superficialità della vita moderna.

I Gazpacho, pur con il loro nome fuori contesto e questo “Tick Tock” che richiama forse più il titolo di una filastrocca per bambini, scrivono invece una pagina importante per la mia personale crescita musicale. “Se la sete deve bruciarmi, che già mi bruci”.

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