Oneroso è l'onore di recensire quest'album.

Descriverlo sotto ogni suo aspetto significherebbe scrivere una recensione eccessivamente lunga; ma d'altra parte sarebbe impossibile esprimere in poche righe tutta la sua grandezza. Quindi non perdiamoci in inutili giri di parole, e cominciamo a subito parlarne.

'The Lamb' esce nel 1974, ed inizialmente viene accolto in modo piuttosto freddo sia da parte della critica sia dal grande pubblico. Evidentemente entrambi si erano ormai abituati a considerare i Genesis come "i più abili narratori di favole progressive", e di conseguenza dovettero rimanere alquanto sorpresi vedendo Gabriel e compagni, reduci dal successo di 'Selling England By The Pound', presentarsi con un concept album oscuro e che affondava le sue radici nella (difficile) realtà.

Il punto è che il gruppo, o meglio il suo cantante (ideatore del concept) aveva visto avanti nel tempo di un paio di anni, prevedendo la "progressiva" decadenza del genere di cui lui e la sua band erano gli alfieri.

Oggi c'è chi parla di The Lamb come un classico del Prog: per me questa definizione è errata. Classici del Prog sono Foxtrot, In The Court Of The Crimson King, Close To The Edge, Thik As A Brick? Tanto per citare i più conosciuti.

The Lamb è qualcosa di più.

E' troppo vario, contiene troppi elementi differenti per essere annoverato in un genere senza dubbio aperto, ma che comunque ha dei confini che lo delimitano.

Chi non si trovasse d'accordo con me, provi a concentrarsi sulle sonorità taglienti ed elettroniche della "title track" (che di progressivo ha soltanto la superba intro pianistica di Banks), di "In The Cage", di "Riding The Scree"; sull'impatto durissimo di brani come "Back In N. Y. C. " o Lilywhite Lilith"; sull'ironia sperimentale di "The Grand Parade Of Lifeless Packaging" e "Counting Out Time", che risultano comunque orecchiabili (la seconda addirittura fu estratta come primo singolo). Singoli? Si potrebbe addirittura andare a pensare che qui dentro ci sia qualcosina di pop! E questo non è del tutto sbagliato: certo, non si tratta di canzoncine da Hit Parade alla "Invisible Touch", bensì di musiche apparentemente semplici ma che in realtà hanno una struttura studiata e molto complicata?

Un esempio è "Carpet Crawlers", per la quale si potrebbero spendere fiumi di parole, ma alla fine dei conti rimarrebbe sempre e comunque quello che è: semplicemente bella.

E quindi cosa rimane di prog in 'The Lamb'?

Calma, calma, si tratta di un album doppio, che contiene ben 23 canzoni nelle quali i 5 musicisti hanno modo di esprimere tutte le loro notevoli abilità tecnico-compositive. Gli assolo di Banks sono pochi ma buoni, tutti di sintetizzatore. Ma la vera grandezza degli strumentisti emerge dalla struttura delle canzoni: Hackett rinuncia alle lunghe parti soliste per "limitarsi" (si fa per dire) a rifinire, e lo fa molto bene. L'uso del Mellotron è limitato, ed è il pianoforte, a dispetto dell'organo, ad accompagnare la maggiorparte dei brani, soprattutto nel secondo disco. Rutherford è costretto a mettere quasi del tutto da parte la sua tanto amata 12strings, che compare solo all'inizio di "Fly On A Windshield", in "In The Rapids" ed in "It", in funzione più ritmica che armonica. Fondamentale è invece il suo apporto al basso, spesso distorto per donare ai brani un'atmosfera più cupa. Phil Collins si inserisce prepotentemente fra i batteristi migliori del suo tempo: continui cambi di tempo, spesso anche in dispari, dimostrano inequivocabilmente le sue grandi capacità, che si notano anche nei cori, sempre perfetti.

Mi sto forse dimenticando di qualcuno? Ah, si, Peter Gabriel.

Quel geniaccio di Peter Gabriel? Lo strumento principale di 'The Lamb' è la sua voce, che raggiunge finalmente il suo apice di tecnica e, soprattutto, di espressività. I testi, tutti rigorosamente in rima, sono parto della sua mente contorta, ed è senza dubbio per questo che il vocalist li interpreta in modo così sentito; ora sprigiona tutta la sua rabbia, ora invece si diverte a interpretare personaggi diversi cambiando voce; ora si spinge finchè può verso l'alto per rappresentare scene di grande drammaticità, ora infine ci rassicura con la sua voce calda e profonda? insomma, è lui il protagonista di questi due dischi. E' lui, in fondo, il Rael di cui narra le disparate e quasi assurde vicende. E benchè non siano così spudorati ed evidenti come nel Watersiano "The Wall" (che considero una briciola in confronto a The Lamb), i riferimenti a fatti e persone vicini all'autore del concept sono lostesso presenti.

Celati dietro ad una macabra storia di agnelli insanguinati che compaiono sulle strade di New York, di mura viventi che ti uccidono spiaccicandoti dentro oscure gabbie, di teppistelli che finiscono a letto con porcospini, di caverne con 32porte, di misteriose creature col volto di donna e il corpo di serpente che, dopo averti soddisfatto sessualmente, ti costringono a trasformarti in "Slippermen", non lasciandoti altra alternativa se non quella di farti castrare per sfuggire ad un orribile destino? Insomma TUTTO.

Era scontato che dal vivo un album come questo dovesse venire presentato in modo più che mai teatrale: e se già fino a quel momento la figura di Gabriel sul palco (che interpretava, talvolta travestendosi, i soggetti delle canzoni) dominava, nel tour di The Lamb gli occhi degli spettatori erano puntati tutti su di lui. Il resto della band, costretto a restare in secondo piano a suonare partiture impossibili si accorse di questo. E il frontman si accorse che se ne accorsero. E così, detto molto alla breve, avvenne il tramonto dei Genesis. Badate: non dei genesis, ma dei Genesis.

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