Una nuova, frizzante farsa firmata fratelli Coen, ma con un tocco moraleggiante ed edificante frutto forse degli altri co-autori della sceneggiatura. L'idea originale di Joel ed Ethan è degli anni Ottanta e questo giova non poco. Un film godibile e sufficientemente tagliente, soprattutto dal punto di vista politico.

Il messaggio più evidente per l'America di oggi è anche banale, perché postula un confronto tra i neri della città, osteggiati senza motivo, e una famiglia di bianchi, pentecostali, che compie le peggiori nefandezze senza che si incrini mai quel velo di melensa ipocrisia ben incarnato dai sorrisi enfatizzati di Julianne Moore.

Se vogliamo anche la storia è abbastanza prevedibile, e lenta nella prima parte, ma nel dipanarsi assume quei meccanismi perversi tipicamente coeniani che garantiscono minuti di divertimento surreale. La visione grottesca è meno efficace di quanto ci si poteva aspettare, soprattutto nella prima metà, per via di dialoghi che vorrebbero essere assurdi ma non sempre ci riescono, scadendo a volte nel puro dramma.

Con lo svilupparsi dell'azione e della violenza emerge meglio la chiave di lettura coeniana; anzi, è proprio nel trattare di ammazzamenti e vicende sanguinarie con caustica leggerezza che il film si marchia in modo più nitido della prestigiosa firma dei fratelli. Ma anche quando l'azione langue, la farsa della vita quotidiana, dove anche le assurde incongruenze sono accolte di buon grado per preservare il quieto vivere, dove «tutto è come sembra», ma va bene così, beh anche questa visione ha una sua lenta ma penetrante carica corrosiva.

Per quanto riguarda la questione xenofoba, trovo più interessante il disinteresse dei protagonisti verso il tema rispetto alla dicotomia morale tra bianchi e neri. Quella è un po' facilona e generica: mi piace invece che la famiglia al centro delle vicende, pur avendo una situazione di caos e proteste di fianco a casa, sembra del tutto imperturbabile. Ed è quella la cosa più sensata che viene detta sul piano politico: la colpa non è solo dei razzisti, ma anche e soprattutto dei cittadini normali, che non danno peso a questioni gravi, che si svolgono davanti ai loro occhi, tutti i giorni. Come sono colpevoli i giornalisti che cavalcano l'onda xenofoba con domande assurde, a cui vengono date risposte altrettanto folli.

Concettualmente riuscito a metà, il film funziona benissimo nei suoi aspetti più strettamente artistici e tecnici. Bene gli attori, che rispondono perfettamente alle caratteristiche dei loro personaggi, come nella migliore tradizione dei Coen. La regia di Clooney è solida, funzionale, e a tratti si fa notare per la sensatezza delle inquadrature. Ma d'altra parte credo che sia proprio Clooney ad aver aggiunto la componente meno cinica del film: lo zio Mitch, l'amicizia tra Nicky ed Andy Mayers, l'apertura finale a una possibile integrazione. Per carità, tutti aspetti legittimi e anzi necessari per dare una speranza all'America, ma che ibridano la cifra stilistica e concettuale coeniana. Una godibile via di mezzo tra cinismo grottesco ed una visione più edificante del domani.

6.5/10

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