Molto probabilmente quell’istante, Kees Popinga, lo stava attendendo con trepidazione da sempre; un pretesto per poter mandare a fanculo quella vita insipida che lo stava logorando progressivamente da troppo tempo. Semplicemente non ci sperava più. Per quarant’anni aveva meticolosamente strappato con fare robotico i giorni di ogni settimana e li aveva accumulati sul pavimento della sua spaziosa villetta della quale andava particolarmente fiero. Giorni composti da situazioni ripetitive, legate a regole comprovate della società, abitudini rigidissime, prassi dalle quali era ormai quasi impossibile liberarsene. E’ per tutti questi motivi che quella notte, nel tepore di una sconveniente locanda, quando gli venne gettata in faccia la verità lui, Kees Popinga, fu felice. Venne verbalmente ferito dal principale corrotto che con una lucidità esasperata gli snocciolò in modo inequivocabile l’inconsistenza, la debolezza e la fragilità della sua pacifica vita fatta di debiti e futura povertà. Anni di ligio servizio e lavoro in procinto di collassare in un amen per il fallimento premeditato dell‘azienda da parte del titolare che ora, inscenando un suicidio, avrebbe lasciato la patata bollente al coglione di turno. Lui. Invece di cadere in una crisi di nervi isterica, invece di tentare di malmenare, se non uccidere, quel farabutto figlio di puttana che dopo averlo rovinato si prendeva pure il lusso di canzonarlo… Al contrario, come se si fosse finalmente liberato dai fumi di una sbronza lunga quarant’anni, Popinga si sentì per la prima volta libero da pesi. Una nave legata alla banchina cui le funi, sottoposte alle intemperie di una violenta tempesta, infine si spezzano. Aveva soffocato le sue passioni per nulla ed era rimasto a guardare passare i treni, le vite altrui, senza avere la possibilità di vivere in prima persona. Ma ora, cazzo, le cose sarebbero cambiate e nessuno lo avrebbe più riconosciuto.

Simenon in questo attuale libro del ‘38, il suo primo che leggo, affronta con grande vigore la lotta, il tentativo di uscire da un mondo falso, perbenista e ovattato che stride rumorosamente con l'indole dell’essere umano. Un animale che inizialmente freme e si divincola nel fitto reticolato di regole, scritte e non, che limitano il suo spazio vitale fino al flemmatico incedere del logorio del tempo che gli toglie ogni speranza e vitalità.

Popinga, come ogni bipede che calca la crosta terrestre, è convinto di non essere apprezzato a sufficienza per le sue qualità; si sente superiore alla totalità massa ed il colloquio traumatico con il principale gli dà la forza della quale abbisognava per trovare il coraggio di abbandonare tutto e farsi trasportare dagli istinti. Vivrà così nella caotica Parigi un paio di settimane libere, passionali e pericolose, nelle quali il protagonista si sentirà quasi onnipotente. Capirà che il mondo è fatto per chi agisce, per chi non ha paura degli eventi e delle possibili conseguenze, e sa approfittare della stupidità altrui e rischia tutto.
Da persona rispettata, ma invisibile, a nemico pubblico temuto e ricercato si inietterà in vena, come drogato, questa overdose di successo e notorietà. Giocherà una partita a scacchi invisibile, ben resa dall’autore nelle contorte elucubrazioni della sua mente mentre soppesa le contromosse da attuare, con la polizia per evitare la cattura. Quando i giornali non si cureranno quasi più della sua storia, declassata ad un triste e innocuo trafiletto, sarà lui stesso a cercare di mantenere viva l’attenzione; progressivamente capirà di non poter più accettare un ritorno all’anonimato e di quanto la notorietà fosse il vero motore delle sue azioni.

Il libro alterna passaggi di realismo e durezza granitica a situazioni tragicomiche e assurde; piace perché il protagonista di questa triste avventura si comporta fuori dalle regole e dalle leggi non per pazzia, ma per cinico tornaconto e ricerca di benessere personale. Realizza che la sua vita precedente non aveva più senso di quella di un criceto condannato a passare i giorni a correre su una ruota. Il trovarsi di fronte ad una società incapace di dare il giusto peso alle sue peripezie lo demolirà progressivamente.
Finalmente in possesso della chiave di lettura del (non) senso del quotidiano, legge con disprezzo gli editoriali di giornalisti ed esperti, le testimonianze di famigliari e conoscenti, impegnati nel cercare di giustificare quelle due settimane di vita reale e pura lucidità come frutto di “amnesia”, o “malattia mentale“.

Popinga non sa più reagire quando si palesa il fatto che la sua è una lotta già persa. Sapere di essere a conoscenza di una verità che la maggior parte della popolazione, spesso ignora, non lenisce il gusto amaro di una pillola che non riesce proprio a buttar giù.

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